Violenza domestica, l’identikit del maltrattante e le fasi dell’escalation

Violenza domestica, l’identikit del maltrattante e le fasi dell’escalation

La richiesta di lasciare il lavoro, come condizione per continuare la storia d’“amore”, poi quella di non vedere più «quella poco di buono» della migliore amica, lasciare andarei genitori, le amicizie di sesso maschile che «non si addicono ad una donna perbene». Infine la violenza cieca, la testa contro il muro, gli schiaffi, i calci, i capelli tirati e il viso stretto tra le mani per urlarle in faccia tutta la sua pochezza di donna, la sua inutilità. Ma quando lei lo lascia, lui diventa l’uomo più affettuoso e pentito del mondo, fino a convincerla che vale la pena di tornare e provare di nuovo a volersi bene. E lì ricomincia l’inferno: l’ordine di pulire la casa e cucinare appena uscita dall’ospedale dopo una minaccia di aborto, la violenza sistematica.

Le tre fasi della violenza

Quando arriva l’anoressia, come risposta di un corpo e di una mente maltrattati, è lui che sceglie i medici, con i quali lei non può mai restare sola, lui è lì anche durante l’alimentazione con il sondino naso-gastrico. La Corte di cassazione nel confermare la condanna dell’imputato per maltrattamenti, aggravati dallo stato di gravidanza della compagna – trattata, secondo i testimoni, «come un cane» – traccia un identikit dell’uomo maltrattante e descrive le fasi della violenza in un rapporto tossico. I giudici raccontano i segnali che ogni donna dovrebbe cogliere, prima che le grida si spengano in un grande silenzio.

La Suprema corte traccia il ciclo della violenza un modello teorico «che aiuta a comprendere come e perché – si legge nella sentenza – si sviluppano e si ripetono le dinamiche abusive nelle relazioni intime».

La prima fase di crescita della tensione è quella nella quale si manifestano le forme tipiche della violenza psicologica e verbale. Da una parte c’è lui irritabile, che mostra un’ostilità e una freddezza crescenti, colpevolizza la partner, la umilia, sminuisce la sua identità, impone divieti e la isola dalla vita sociale. Dall’altra c’è lei, che cerca di evitare l’escalation di violenza, accontenta e previene, fa a pezzi la sua vita privata e si chiude per compiacere, evita tutti i comportamenti che possono creare conflitti, fa a meno di esprimere il suo punto di vista. Paga con la perdita dell’autostima, per il suo sentirsi inadeguata socialmente e culturalmente, l’inutile tentativo di salvare il rapporto o tenere unita una famiglia.

Fonte: Il Sole 24 Ore