Welfare, crescono i divari tra Nord e Sud: prima Trento, ultima la Calabria
Si amplia il divario regionale per le prestazioni di welfare, con una polarizzazione sempre più accentuata tra Nord e Sud Italia. La distanza tra la regione migliore e quella peggiore nel 2024 raggiunge 23,6 punti, in aumento del 9% rispetto al 2023.
Le migliori e le peggiori performance regionali
Secondo il Welfare Italia Index 2025 – un indicatore sintetico che prende in considerazione gli ambiti di politiche sociali, sanità, previdenza e formazione -, l’amministrazione con il punteggio più elevato è la provincia autonoma di Trento (83,8 punti), seguita dalla provincia autonoma di Bolzano (80,4 punti) e dal Friuli-Venezia Giulia (78,3). Il fondo della classifica è occupato dalla Campania (62 punti), dalla Basilicata (60,7 punti) e dalla Calabria (60,2 punti) che si conferma all’ultimo posto nelle rilevazioni sia del 2024 che del 20o25.
È questo, in estrema sintesi, il quadro che emerge dal Rapporto 2025 del Think Tank “Welfare, Italia”, iniziativa promossa da Unipol in collaborazione con Teha Group, illustrato a Roma nel corso del Forum dal titolo “Capitale Umano: la nuova leva della competitività nazionale”. L’Index è uno strumento di monitoraggio, basato su 22 indicatori di performance, che valuta, all’interno di un indicatore sintetico, sia aspetti legati alla spesa in welfare sia aspetti legati ai risultati che questa spesa produce.
Nel 2024 il welfare ha assorbito 669 miliardi di euro, il 60% della spesa pubblica
Gli squilibri si confermano anche allargando lo sguardo a livello nazionale nella composizione della spesa, orientata alla protezione della fascia più anziana: nel 2024 il welfare – nelle sue quattro componenti sanità, politiche sociali, previdenza e istruzione – ha assorbito 669,2 miliardi di euro, pari al 60,4% della spesa pubblica. Tuttavia, guardando al peso specifico di ciascuna voce, mentre la previdenza pesa il 16% del Pil, contro una media dell’Eurozona del 12,3%, restiamo sotto la media europea per la spesa per l’istruzione (3,9% del Pil contro il 4,6% dimedia dell’Eurozona) e per le politiche sociali (4,9% del Pil contro il 7,3%).
Resta ancora alta la dispersione scolastica che riguarda il 9,8% dei 18-24enni (oltre 400mila giovani) e continuiamo ad avere una quota di laureati 25-34 anni ancora bassa (31,6% contro una percentuale europea pari a 44,1%), rerstiamo al top per la disoccupazione giovanile al 19,3%, e in fondo alla classifica per l’occupazione femminile (sotto la media UE di oltre 13 punti). La fuga di laureati (oltre 49mila nel 2024), peraltro, ha un costo stimato in 6,9 miliardi di euro l’anno pern il sistema Paese. Del resto l’Italia è tra i Paesi europei con minor capacità di attrarre studenti universitari stranieri (è quartultima in Europa) e presenta quote assai limitate di lavoratori immigrati ad alta qualifica. Secondo gli autori del rapporto servono «incentivi mirati, internazionalizzazione di atenei e ricerca, percorsi di carriera competitivi e condizioni abilitanti per trattenere e attirare capitale umano ad alto valore aggiunto»
Fonte: Il Sole 24 Ore