Workers buyout, storie di lavoratori italiani che salvano la fabbrica
«La cartiera è storica, dal 1872 ha avuto diverse gestioni negli anni – racconta Tavella -. Nella fase più recente è stata messa in liquidazione nel 2005: venne acquistata da un gruppo di imprenditori, alcuni di Milano, alcuni dell’area di Brescia e la società assunse la denominazione di Pkarton spa. Ci fu un investimento di diversi milioni di euro ma poi nel giugno 2012 l’azienda venne messa in liquidazione: ricordò che si presentò una cordata che poi si rivelò farlocca, sembravano essere interessati all’acquisto e fui io stesso a fissare il notaio per mettere nero su bianco, ma loro non si presentarono». Poi il punto più basso nel gennaio 2014, quando venne decretato ufficialmente il fallimento, con un passivo di circa 50 milioni di euro. Dal fallimento alla risalita. «Il liquidatore – aggiunge Tavella – ogni tanto ci diceva a battuta: ’Ma perché non la prendete voi l’azienda come cooperativa?’. All’inizio ridevamo, poi ci abbiamo fatto un pensiero anche perché avevamo un piano industriale».
Il resto è una grande storia di workers buyout. Ad agosto 2015 la Cartiera Pirinoli è ripartita con 70 soci lavoratori (contro i 152 dipendenti di quando si fermò l’impresa nel 2012): «Il peggiore periodo per una cartiera ma siamo riusciti a chiudere l’anno con 6 milioni di euro di fatturato – conclude Tavella -. Poi siamo arrivati a 13 milioni nel 2016 e a 35 milioni l’anno successivo. Il tutto grazie a soci finanziatori, Coopfond che è l’ente mutualistico legato a Legacoop e Cfi. Banca Etica è stata una delle prime banche a darci l’appoggio finanziario necessario per smobilizzare i crediti». Oggi l’azienda ha 20 milioni di patrimonio netto, 95 lavoratori di cui 80 soci.
La Wbo Italcables di Caivano (Napoli)
A Caivano, in provincia di Napoli, ci sono dei lavoratori d’acciaio. È la storia della Italcables, azienda che si è fermata a causa della crisi nel 2013 e che dopo due anni di lotte è ripartita in Wbo Italcables, grazie a 51 dipendenti iniziali e al lavoro dell’attuale presidente della coop Matteo Potenzieri, del vicepresidente Luigi Posillipo e del direttore commerciale Domenico Capone. La fabbrica ha sempre prodotto cavi d’acciaio per infrastrutture come ad esempio ponti e viadotti.
«Nel 2008 – racconta Potenzieri – ci sono state le prime difficoltà, a causa dello scoppio della bolla finanziaria negli Stati Uniti. La precedente proprietà ha tentato la ristrutturazione e ha cercato di resistere ma poi nel 2013 è andata in concordato preventivo: da quel momento le due principali banche non hanno voluto rifinanziare la ripartenza e lo stabilimento si è fermato a gennaio 2013». Un momento complicatissimo, non c’erano soldi per acquistare l’acciaio, la materia prima che rappresenta il 70% delle spese complessive. A quel punto il concordato preventivo in continuità è diventato liquidatorio e 51 dei 67 dipendenti iniziali (45 operai e 6 funzionari) hanno dato vita alla cooperativa. I dipendenti hanno difeso e presidiato per 2 anni lo stabilimento e i macchinari: hanno raggiunto 1,2 milioni di euro (ognuno ha versato 25mila euro) per comprare l’azienda e dar vita al nuovo progetto.
Fine dei problemi? «No, perché quei fondi raccolti non erano sufficienti, c’era ancora un grosso problema, mancava la liquidità per acquistare l’acciaio – ricorda Potenzieri -. A quel punto è stato fondamentale l’incontro con Banca Etica, con Coopfond di Legacoop Campania e Cfi. Abbiamo ottenuto le risorse e siamo partiti nel 2015». Oggi i lavoratori d’acciaio sono aumentati: i dipendenti sono 63, il fatturato è mediamente di circa 30 milioni l’anno. «Quest’anno stiamo soffrendo un po’ per il settore dell’acciaio, per la materia prima che costa molto, per la concorrenza fortissima dei Paesi asiatici», conclude Potenzieri. Ma chi ha avuto quel passato non può avere paura.
Fonte: Il Sole 24 Ore