Afa Romeo Milano, Junior e dintorni: la guida degli “alfisti” è scomparsa

Che il lancio di un’Alfa Romeo susciti clamore ci sta. Si tratta pur sempre di un patrimonio nazionale a cui tanti italiani sono legatissimi, sebbene non al punto da comprarsi le macchine. Solo che le discussioni rivelano un senso di mancato appagamento, quasi un disappunto che poi ha trovato sfogo su questioni poco rilevanti e, diciamolo, anche un tantino pretestuose.

Un oggetto di critiche è il body: è uguale a quella e a quell’altra macchina. Certo, oggi si somigliano un po’ tutte. Non è più il tempo in cui dalla matita di veri e propri artisti uscivano la Thema, la Croma e la Saab 9.000, tutte sullo stesso pianale eppure così diverse. Finché arrivò il genio di Pininfarina, che da quel progetto ricavò addirittura la 164, lasciando il mondo a bocca aperta. Allora, invece di criticare che un SUV compatto somigli agli altri SUV compatti, perché nessuno si chiede come mai una tale uniformità? Dove sono finite le priorità dell’estetica? Cosa le ha rimpiazzate? I consumi? La sicurezza? La voglia di aggredire sempre e solo il segmento maggioritario della domanda, trascurando le nicchie?

Poi il nome: Milano e non fabbricata in Piazza Duomo. Nata come polemica speciosa e finita alla Ennio Flaiano: grave, ma non seria.

È evidente che c’è un malessere di fondo. Diamine, non capita spesso di salutare una nuova auto del Biscione. Uno si aspetta qualcosa di diverso, di unico. Un’Alfa Romeo, se è lecito dirlo, non un SUV qualsiasi con lo stemma appiccicato sopra. Anni fa un brillante Silvio Berlusconi stuzzicò la Fiat, suggerendo di mettere sulla Panda lo stemma Ferrari per venderne una caterva. Da fine uomo di marketing, sapeva che era solo una boutade che non avrebbe funzionato. Un brand è appunto un… brand. Non ogni prodotto può reggere ogni brand.

Alfa Romeo è uno dei pochissimi brand al mondo a incarnare un tipo di automobilista: l’alfista. Una persona che desidera sentire la strada, ha una guida sportiva e vuole apparire tale. A Torino sanno di che si tratta: per la pubblicità dello Stelvio hanno usato “alfista allo stato puro”. Poi però tutte le pubblicità, da Giulia a Tonale passando per Stelvio, lo evitano. Il protagonista è affascinante ma nel senso mainstream, molto curato al limite del deboluccio. Il payoff insiste sulla “meccanica delle emozioni” e sul “patrimonio italiano”, come se Alfa Romeo ne avesse bisogno, visto che essa stessa è simbolo di italianità. Ma soprattutto, le auto non corrono, manca l’adrenalina alla “fast&furious”.

Fonte: Il Sole 24 Ore