Alviero Martini Spa in amministrazione giudiziaria per sfruttamento lavorativo

L’azienda Alviero Martini Spa, specializzata in borse e accessori identificati da carte geografiche ma fino a una decina d’anni fa protagonista anche in passerella durante la settimana della moda femminile, è stata posta in amministrazione giudiziaria dal Tribunale di Milano.

Il commissariamento deciso dal Tribunale di Milano

A seguito di un’inchiesta dei carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro, l’azienda, che da vent’anni fa capo alla holding Final Spa, è stata «ritenuta incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell’ambito del ciclo produttivo». In particolare, la casa di moda avrebbe massimizzato i profitti ricorrendo a «opifici cinesi» e «facendo ricorso a manovalanza in nero e clandestina», come si legge nel provvedimento della sezione misure di Prevenzione del Tribunale di Milano che ha disposto la misura su richiesta del pm Paolo Storari.

Ad essere contestato alla casa di moda è soprattutto il mancato controllo sulla filiera: l’azienda non avrebbe «mai effettuato ispezioni o audit sulla filiera produttiva per appurare le reali condizioni lavorative» e «le capacità tecniche delle aziende appaltatrici tanto da agevolare (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato». I commissari nominati, Marco Mistò e Ilaria Ramoni, avranno il compito di analizzare la filiera produttiva ed effettuare «verifiche reputazionali» sui fornitori, rimuovere i rapporti con imprese interessate da fenomeni di caporalato e dotare l’ azienda di un modello organizzativo per prevenire i reati.

La risposta dell’azienda

L’azienda ha inviato una nota stampa comunicando di «essersi messa tempestivamente a disposizione delle autorità preposte, non essendo peraltro indagati né la Società né i propri rappresentati, al fine di garantire e implementare da parte di tutti i suoi fornitori, il rispetto delle norme in materia di tutela del lavoro». Nella nota la casa di moda ribadisce che «tutti i rapporti di fornitura della società sono disciplinati da un preciso codice etico a tutela del lavoro e dei lavoratori al cui rispetto ogni fornitore è vincolato. Laddove emergessero attività illecite effettuate da soggetti terzi, introdotte a insaputa della società nella filiera produttiva, assolutamente contrari ai valori aziendali, si riserva di intervenire nei modi e nelle sedi più opportune, al fine di tutelare i lavoratori in primis e l’azienda stessa».

L’inchiesta sui fornitori

Come molte altre aziende del settore moda che non hanno la possibilità di produrre internamente, Alviero Martini Spa aveva affidato «mediante contratto di appalto con divieto di sub-appalto senza preventiva autorizzazione, l’intera produzione a società terze, con completa esternalizzazione dei processi produttivi». Tuttavia, in questo specifico caso, tra chi lavorava in appalto per le società terze c’erano opifici cinesi che impiegavano però manodopera irregolare, che non solo veniva fatta lavorare di notte ma dormiva addirittura sul luogo di lavoro, in netto contrasto con le norme relative alla salute e sicurezza. Così da assicurare un costo di produzione di circa 20 euro per prodotti che, in negozio, avevano un prezzo di vendita di 350 euro.Tutto questo, oltretutto, non avveniva lontano dall’headquarter del marchio, fondato a Milano nel 1991, ma a pochi chilometri di distanza, in un triangolo tutto lombardo: tra Milano, Pavia e Monza e Brianza.

Fonte: Il Sole 24 Ore