Brasile, Lula favorito contro Bolsonaro in un Paese bloccato

Da una parte Lula, il presidente sindacalista del miracolo economico e del riscatto per milioni di brasiliani usciti dall’indigenza durante il suo governo nei primi anni duemila. Luiz Inacio Lula da Silva, il leader del Partito dei lavoratori che nelle elezioni di oggi cerca, a 76 anni, la grande rivincita dopo essere stato scagionato dalle accuse di corruzione dello scandalo Petrobras, dopo avere passato 580 giorni in carcere assistendo impotente alle sconfitte della sinistra e al tracollo dell’economia del suo Paese.

Dall’altra parte Jair Bolsonaro, il presidente populista ancora in carica, il nuovo, il nemico della politica tradizionale, il liberista sostenitore del business. Jair Messias Bolsonaro, 67 anni, il leader che ha saputo compattare, come mai era accaduto, la destra brasiliana, mettendo assieme Boi, biblia e bala, cioè i buoi di allevatori e agricoltori, con la chiesa evangelica, e alcune lobby di peso, tra le quali quella dei militari, dei proiettili. Travolto però dal Covid e da una gestione pessima dell’emergenza sanitaria che ha oscillato tra negazionismo e superficialità, mentre la pandemia uccideva 700mila brasiliani e colpiva in modo pesantissimo le attività economiche.

Oggi oltre 150 milioni di brasiliani saranno chiamati a votare per il nuovo presidente (oltre che per il Congresso e per i governatori dei 27 Stati), ma in mezzo, tra Lula e Bolsonaro, c’è un Paese bloccato.

Con il boom delle materie prime di inizio secolo il Brasile era diventato il simbolo degli emergenti, la B dei Brics, aveva scalato fino al sesto posto la classifica delle grandi economie del globo. Poi, a partire dal 2014, è iniziato il crollo, dal quale il Paese non si è ancora ripreso: negli ultimi dieci anni il Pil brasiliano è cresciuto in media solo dello 0,15% all’anno, i livelli di produttività sono rimasti invariati, mentre sono aumentati inesorabilmente le difficoltà delle famiglie, e perfino l’insicurezza alimentare: oggi oltre 30 milioni di brasiliani soffrono la fame, un paradosso inaccettabile per uno dei maggiori produttori agricoli del mondo.

«La sottoperformance della crescita del Brasile dopo il boom delle materie prime ha sorpreso anche i più pessimisti», afferma Marcos Casarin, capoeconomista per l’America Latina di Oxford Economics. «Il reddito pro capite – aggiunge Casarin – è ancora del 10% al di sotto del picco del 2013 e ci vorranno almeno altri quattro anni perché si possa tornare a quel livello».

Fonte: Il Sole 24 Ore