Carcere di San Gimignano, con la tortura di Stato minata l’immagine delle istituzioni

La tortura di Stato è un reato autonomo e non un’aggravante. La norma è, infatti, destinata a prevenire e ad arginare atti di violenza come quelli commessi a San Gimignano da agenti che hanno tradito il loro mandato e minato la dignità e l’immagine delle istituzioni pubbliche. Il Tribunale di Siena affida ad oltre 250 pagine, le motivazioni con le quali il 9 marzo scorso ha condannato cinque agenti penitenziari del carcere toscano, con pene da 5 anni e 10 mesi fino a 6 anni e 6 mesi per torture, falso e minaccia aggravata.
L’accusa riguardava la responsabilità nel pestaggio di un detenuto tunisino nell’ottobre 2018. Altri 10 agenti per gli stessi fatti furono in passato condannati con rito abbreviato. Certosino l’impegno dei giudici che hanno corredato con foto il loro lavoro per dimostrare la dinamica di quella che è stata definita una vera propria spedizione punitiva in assenza, nel momento in cui è avvenuta, di una situazione agitata all’interno del carcere.

I fatti alla base della condanna

L’11 ottobre 2018, secondo la ricostruzione del Tribunale un gruppo di quindici agenti penitenziari aveva prelevato a forza dalla camera detentiva, nel reparto isolamento, un ragazzo nordafricano condannato per reati di droga, mentre stava uscendo per fare la doccia. L’uomo era stato sottoposto ad un pestaggio e poi lasciato senza abiti fino alla mattina successiva. Nel corso dell’aggressione un ispettore che, pesava circa 120 kg, gli era montato sulla vita e sulle gambe con le ginocchia e un altro lo aveva preso per il collo. Il tutto in assenza «di qualsivoglia necessità di prevenire o impedire atti di violenza, tentativi di evasione ovvero di vincere una resistenza» del giovane magrebino. Un quadro che porta ad escludere l’uso legittimo della forza pubblica per affermarne l’abuso.

Per il Tribunale il fine reale della spedizione punitiva era lanciare un monito ai detenuti del reparto sicurezza, per lo più appartenenti alla criminalità organizzata di stampo mafioso o alla camorra, come risposta al clima di tensione che si era creato in mattinata. Iniziativa bollata come «aberrante opera di “pedagogia carceraria”», per mettere in chiaro i rapporti di forza.

L’uso della forza con le persone private della libertà

Nel confermare le condanne il Tribunale cita la giurisprudenza sovranazionale della Corte europea dei diritti dell’Uomo. I giudici di Strasburgo considerano, infatti, l’uso della forza nei confronti delle persone private della libertà personale una violazione del divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti e lo prevedono, come extrema ratio, nei limiti imposti dalla stretta necessità. A bandire dalle carceri l’uso della forza, sottolinea il Collegio, è anche l’articolo 13 della nostra Carta, secondo il quale «è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizione di libertà».

Il reato di tortura di Stato, che ha conosciuto dunque una delle sue primissime applicazioni, è posto a difesa di valori fondamentali. E deve garantire un rapporto regolare tra Stato e cittadino, tra autorità pubblica e persona, nel momento più critico e delicato: quello in cui i cittadini e le persone sono affidate alla cura e alla vigilanze delle autorità pubbliche.

Fonte: Il Sole 24 Ore