Cartolarizzazioni Ue con il freno ancora tirato a cinque anni dalla riforma

Il giro di vite di cinque anni fa ha permesso di reinserire la marcia, e probabilmente salvato, il mercato delle cartolarizzazioni europeo, che continua però a viaggiare a una velocità ridotta e di sicuro inferiore a quanto avviene negli Stati Uniti. È una svolta a metà quella impressa dalla Securitisation Regulation, che a partire dal 2019 ha introdotto anche una sorta di «bollino di garanzia» per le operazioni Sts – Semplici, trasparenti e standardizzate – con l’obiettivo di riguadagnare la fiducia di un mercato ancora scosso dai postumi della crisi Lehman, e i dati più recenti lo dimostrano.

I dati Afme

Secondo quanto riportato da Afme, l’associazione che rappresenta gli operatori sui mercati finanziari in Europa, nei primi nove mesi dell’anno l’ammontare emesso per questi strumenti, utilizzati per la cessione dei crediti attraverso la creazione di appositi veicoli, ha sfiorato i 191 miliardi di euro. Si tratta, è vero, di un livello che non si raggiungeva dal 2018, ma il giro d’affari non appare lontanamente paragonabile a quello degli anni che precedevano la Grande crisi finanziaria, quando nel Vecchio Continente si erano superati anche gli 800 miliardi in un anno.

Anche considerando il valore di tutti i titoli effettivamente presenti sul mercato europeo la sfida resta impari: al 30 giugno scorso valevano nel complesso poco meno di 1.200 miliardi, quando attorno al 2007-2008 si stazionava attorno ai 2mila miliardi. Al contrario negli Stati Uniti, dove pure ha avuto origine la bufera che ha colpito in pieno le cartolarizzazioni (e soprattutto gli investitori che le avevano sottoscritte), già nel 2021 il mercato aveva raggiunto i 13,7 miliardi di dollari, superando così le dimensioni pre-Lehman (11,3 miliardi), secondo quanto rileva Esma, l’autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati.

La questione delle regole

Il confronto fra le due sponde dell’Atlantico offre in sé già qualche primo indizio per spiegare i ritardi europei, che come in molti altri frangenti del mondo finanziario è connesso anche al ricorso a una normativa particolarmente stringente: necessaria al fine di garantire la maggior sicurezza degli investitori, ma spesso fin troppo eccessiva per i pur nobili scopi che si pone. I paletti condizionano in questo caso sia chi emette gli strumenti (i cosiddetti originator) sia gli stessi investitori. «Le compagnie assicurative, che avevano giocato un ruolo di primo piano a fianco dei tradizionali investitori bancari sul mercato delle asset backed securities, si sono ritirate dopo la crisi Lehman e da allora la loro presenza rimane marginale», riconosce Pietro Bellone, partner di Allen Overy.

Le difficoltà per le assicurazioni…

Tra le principali ragioni di una simile disaffezione, l’esperto legale evidenzia «gli oneri connessi alla due diligence richiesta per poter investire in titoli di cartolarizzazione, diventati troppo elevati per le compagnie assicurative, che a fronte del rischio assunto in operazioni non-Sts devono inoltre accantonare un livello di capitale regolamentare ben più elevato rispetto a un tradizionale investimento in corporate o covered bond». Esistono poi regole legate alla corrispondenza (matching) delle scadenze, difficili da rispettare per molti portafogli cartolarizzati, nonché la necessità di creare un deposito a garanzia che limitano la partecipazione delle compagnie come investitori in cartolarizzazioni Sts sintetiche.

Fonte: Il Sole 24 Ore