Come in azienda proviamo a prevedere il futuro e a farci ispirare dall’intuito

Nell’antichità non si muoveva nemmeno un passo senza consultare il parere degli indovini, che affermavano di poter interpretare il volere degli Dei attraverso estasi, voli d’uccelli ed eventi atmosferici; e per passo, intendiamo davvero ogni passaggio più o meno importante della vita familiare e sociale, dai matrimoni alle guerre.

Si cercava così di dare certezza e corpo a qualcosa che da sempre (e – forse) per sempre resterà sempre vagamente nebuloso: il futuro, il domani, ciò che ancora non abbiamo vissuto.

Prevedere, oggi

Oggi, certo, non ci affidiamo più agli stormi o alle stelle per prendere decisioni importanti, ma è rimasto – nell’uomo – il desiderio e il bisogno, urgente e molteplice, di prevedere il futuro. Prevederlo cambia la qualità della vita e quella dei progetti: così eviteremo una passeggiata in montagna con un meteo pessimo, come non compreremo azioni di un settore merceologico destinato a fallire in breve tempo.

Ma non tutte le previsioni sono ugualmente affidabili: un conto è utilizzare dati certi, tangibili e oggettivi, un altro è saper guardare oltre, là dove le certezze non esistono, esiste solo l’intuito.

Il dono e l’esercizio dell’intuito

“L’intuito è qualcosa di molto potente, secondo me addirittura più dell’intelletto”: le parole di Steve Jobs, tra gli imprenditori più geniali del nostro tempo, ci offrono lo spunto per una riflessione su un talento innato che accomuna molti degli imprenditori e dei visionari coraggiosi che hanno lasciato un’impronta nel mondo. Intuire ciò che viene dopo, ciò che potrà essere, significa potenziare in anticipo gli elementi deboli, sanare i dubbi, proteggersi dai contraccolpi; significa posare le pietre di progetti innovativi su fondamenta solide, in grado di resistere alle tempeste e ai terremoti.

Fonte: Il Sole 24 Ore