Come reagire in caso di mancato accordo sui dazi: il dilemma che agita la Ue

Come reagire in caso di mancato accordo sui dazi: il dilemma che agita la Ue

BRUXELLES – È un crinale sottile quello percorso dall’Unione europea nelle sue sofferte trattative commerciali con gli Stati Uniti. Vi è certamente consenso tra i Ventisette per trovare rapidamente un accordo di principio con Washington, pur di evitare una dannosa guerra economica. Nel caso non si trovasse spazio per una intesa i paesi membri dovrebbero decidere se e come rispondere alle scelte unilaterali americane. Su questo fronte, il dibattito tra i Ventisette è ancora aperto.

Aveva spiegato un portavoce comunitario venerdì sera: «La posizione della UE è stata chiara dall’inizio: siamo favorevoli a una soluzione negoziata con gli Stati Uniti, e questa rimane la nostra priorità. Sono stati compiuti progressi verso un accordo di massima durante l’ultimo ciclo di negoziati svoltosi questa settimana. ⁠Dopo aver discusso lo stato di avanzamento della questione con i nostri Stati membri, la Commissione europea tornerà a discutere nuovamente con gli Stati Uniti nel fine settimana».

Conosciamo l’oggetto del negoziato. Attualmente sono in vigore dazi decisi a suo tempo dall’amministrazione Trump: del 50% sull’acciaio e sull’alluminio, del 25% sulle auto, e del 10% su tutta una serie di altri prodotti. In mancanza di intesa, la Casa Bianca ha minacciato ulteriori tariffe fino al 50%. Le ultime riunioni diplomatiche tra i Ventisette hanno mostrato un consenso crescente in vista di un rapido accordo-quadro, che metta fine all’incertezza degli ultimi mesi.

Secondo le informazioni raccolte ieri a Bruxelles, la stessa Commissione europea sta spingendo sui Ventisette perché accettino una intesa rapida (la quale sarebbe poi da negoziare nei dettagli). Notava però ieri un diplomatico: «C’è ancora troppa confusione sui termini» di un eventuale compromesso. Peraltro, ha aggiunto, «un accordo di principio potrebbe non sospendere i pesanti dazi settoriali, in attesa di uno o più accordi definitivi. E questo sarebbe un problema».

Fonte: Il Sole 24 Ore