Europa League, Siviglia-Roma finisce 5-2 ai rigori. Ma il futuro giallorosso parte da qui

BUDAPEST – Una coppa sfumata ai rigori. Ancora loro, i maledetti rigori, come col Liverpool, quella notte di maggio del 1984, all’Olimpico, e allora era la Coppa Campioni. E pure stavolta dagli undici metri per la Roma in un certo senso è ancora una volta la «Coppa dalle Grandi Orecchie» a volare via, perché sul prato della Puskas Arena ci resta anche la qualificazione alla prossima Champions, che davvero sarebbe stata la svolta (per prestigio e introiti) cui puntavano sia il club che Josè Mourinho. E allora la doppia beffa moltiplica amarezza e rimpianti, e apre più di un interrogativo sul futuro dei giallorossi.

Doppietta europea

Certo, va detto che lo Special One ha rimesso i giallorossi «al centro del villaggio» europeo (espressione cara a un altro ex tecnico romanista, il francese Rudi Garcia), grazie alle due finali continentali consecutive, quella di Conference vinta a Tirana lo scorso anno contro il Feyenoord, e quella di Europa League vissuta appunto contro il Siviglia. Un patrimonio di credibilità che valorizza il «brand» romanista ben oltre i quasi 20 milioni di euro comunque incassati dal club durante il cammino nella seconda competizione continentale. Ovvio però che – come più volte evidenziato – la sproporzione rispetto alla Champions è notevole (parliamo di un montepremi che nel 2021/22 è stato di 465 milioni, rispetto ai 2,02 miliardi della Coppa che Inter e Manchester City andranno a giocarsi il 10 giugno a Istanbul).

E senza dimenticare che il ko di Budapest preclude alla Roma anche la sfida di Supercoppa Europea, altra vetrina non banale. Numeri e riflessioni che aumentano l’amarezza per l’autogol di Mancini, la traversa di Smalling, gli errori dal dischetto dello stesso Mancini e Ibanez, le recriminazioni per le incertezze dell’arbitro Taylor (nei confronti del quale lo stesso Mourinho ha avuto un pesante sfogo nella pancia della Puskas Arena, nel dopopartita).

Come ripartire

Il cuore di questa Roma, la Roma dei Friedkin e di Thiago Pinto, il direttore generale sempre più in rotta di collisione con Jose Mourinho, è ancor più dopo la notte di Budapest, proprio lo Special One. Accentratore, edonista, dall’ego smisurato, ma comunque capace di dare un’identità riconosciuta alla squadra, che in lui riconosce il proprio demiurgo, così come il popolo romanista ha trovato nel portoghese il proprio condottiero.

Prevedibile, visti carriera e status di Mourinho; ma è proprio ora che il club – lanciato in modo sempre più deciso verso la realizzazione del nuovo stadio di proprietà nell’area di Pietralata – dovrà dimostrare di sapersi strutturare in modo più largo e complesso, uscendo in qualche modo da questa egemonia mourinhana che è risorsa, ma sul lungo termine anche limite.

Fonte: Il Sole 24 Ore