Fonderie in cerca un nuovo rimbalzo

Scesi definitivamente dalle montagne russe pandemiche e post pandemiche, i conti delle fonderie italiane confermano una sostanziale stabilità, che si accompagna all’onda lunga del destocking dei magazzini non ancora esaurito dopo il forte rimbalzo del 2021. Tutto sommato, si tratta di una prova di forza importante nel quadro di deterioramento macroeconomico degli ultimi mesi, e a valle di un vero «biennio d’oro» (quello relativo al 2021 e al 2022), che ha permesso ai bilanci delle fonderie italiane di raggiungere livelli di redditività record. Tuttavia il settore viene da due trimestri consecutivi in contrazione (il secondo e il terzo del 2023) e in queste prime settimane del 2024 mancano ancora all’orizzonte chiari segnali di ripartenza del mercato.

«Al momento – spiega Fabio Zanardi, presidente di Assofond, l’associazione che raggruppa le principali aziende del comparto – non abbiamo ancora sentore di ripresa, e crediamo che si dovrà probabilmente attendere la seconda metà dell’anno per vedere qualche segnale. Del resto, il rallentamento dell’ultimo anno è stato almeno in parte dovuto alle notevoli scorte di magazzino che molti clienti avevano accumulato lo scorso anno; scorte che, visto il calo della domanda finale, non sono ancora state smaltite del tutto. Ci auguriamo che a partire dal secondo semestre – conclude l’imprenditore – si possa assistere a una ripartenza della domanda, anche se è molto presto per fare previsioni».

In questi ultimi esercizi, in particolare nel biennio 2021-2022, il settore ha messo fieno in cascina, dando nuovo smalto a bilanci che erano stati messi a dura prova negli anni precedenti sia sul lato della domanda che della redditività, in un quadro di inasprimento dei fattori di costo, delle materie prime energetiche in particolare. L’analisi degli ultimi bilanci depositati, relativa al 2022, evidenzia per il settore, che comprende le fonderie di acciaio, di ghisa e di metalli non ferrosi, un dato aggregato dei ricavi del settore in crescita del 24,7% sull’anno precedente: una performance che fa seguito a quella dei bilanci dell’esercizio precedente (+29% sul 2020), momento di massima domanda di mercato, e ben al di sopra dei valori che si osservano sugli altri anni immediatamente precedenti, connotati da una flessione sia nel 2019 (-3,9% sul 2018) sia nel 2020 (-15,6% sul 2019). Non mancano le sfumature di valore fra i comparti: le fonderie di ghisa hanno visto aumentare il fatturato del 30,2%, mentre quelle di zinco si sono fermate al +11,6%. L’indice generale di redditività, il Roe (Return on equity), è passato invece dallo 0,9% del 2021 all’8,2% dell’ultimo anno di analisi. Il balzo del 2022 è notevole anche in relazione alla dinamica della redditività degli ultimi sei anni: il valore dell’ultimo anno si pone al di sopra di tutti gli altri esercizi, dopo due anni di rapida flessione, fra il 2019 e il 2020 e un Roe del 2021 di poco sopra il valore dell’anno precedente, minimo storico assoluto.

«Gli ultimi risultati – sottolinea Fabio Zanardi – ci dicono che le imprese del settore hanno dimostrato una capacità di reazione non comune, che ha permesso di riportare la nave sulla giusta rotta dopo anni difficili. D’altra parte, l’exploit è stato, almeno in parte, dovuto a circostanze del tutto eccezionali, e in particolare a una domanda che si è mantenuta tonica per tutto l’anno nonostante i continui aumenti che abbiamo dovuto applicare ai prezzi di vendita dei prodotti per evitare di produrre in perdita a causa dell’incremento dei costi energetici, dei materiali ausiliari, dei servizi di subfornitura. Oggi, di contro, ci troviamo in una situazione di rallentamento del mercato e di contestuale normalizzazione dei prezzi di vendita che, oramai per tutte le imprese del settore, sono ancorati a meccanismi di indicizzazione ai costi di materie prime ed energia. Questi ultimi, sebbene in ritracciamento rispetto al 2022, restano decisamente superiori a quelli del periodo precrisi e l’assenza di misure di mitigazione come erano i crediti d’imposta, non più rinnovati dopo il primo semestre di quest’anno, impatta negativamente sulla marginalità». In effetti, già nel 2022, come segnala l’analisi di Assofond, l’aumentato impatto dei costi dei fattori produttivi esterni – come i beni di terzi e gli oneri diversi di gestione, incluse le utenze energetiche – ha inciso negativamente sulla marginalità del valore aggiunto, ridottasi del 5,6% rispetto all’anno precedente proprio a causa dell’impatto economico complessivo dei fattori produttivi esogeni, sempre più marcato.

Fonte: Il Sole 24 Ore