Hotel Santa Venere, vacanze nostalgiche a Maratea

Alzi la mano chi è stato a Maratea. Sicuramente qualcuno sì, e sicuramente non molti. È il posto ideale per chi ha nostalgia della villeggiatura italiana: spiaggia, pasta alle vongole, aperitivo al porto, passeggiata in paese, gelato di fine giornata. Il mare ha lo stesso colore smeraldo limpido di quello del Cilento, con cui confina, e della Costiera Amalfitana. Ma qui al ristorante salutano con un “benvenuto” (e non con “welcome”) e a tavola non mettono il cucchiaio per mangiare la pasta. Che significa: non è un luogo strettamente riservato ai milionari globali, né inaccessibile alla maggioranza dei connazionali. E qui sta l’incanto inaspettato della vacanza a Maratea, nata turisticamente negli anni Cinquanta grazie al progetto del conte Stefano Rivetti, industriale piemontese, che voleva sviluppare la sua attività tessile nel Mezzogiorno.

Innamoratosi a prima vista di quel tratto di costa lucano tra la Campania e la Calabria, decise di impiantare lì i primi stabilimenti, e di costruire una foresteria per i clienti, che poi diventò il primo albergo elegante di Maratea: l’Hotel Santavenere, solo 34 camere e un parco di nove ettari con cascate di buganvillee e cespugli di ortensie fioriti.

Il cinque stelle di Fiumicello, una frazione dove il mare è stupendo e costellato di grotte, non è cambiato molto. D’altronde sarebbe un delitto togliere l’atmosfera rétro con gli archi bianchi della facciata e i pavimenti rosa Maratea dipinti a mano. La nuova gestione (il neonato gruppo Egnazia per il nuovo proprietario Paolo Barletta) si è limitata a svecchiare gli arredi, con il tocco scenografico di Pino Brescia che ha disegnato le testate dei letti, scelto la palette di colori, valorizzato salotti e terrazze, conservando qualche pezzo antico e aggiungendone di più moderni.

Risultato? Il Santavenere sembra un «Pellicano» segreto (il lifestyle hotel di Porto Ercole, ndr), con la discesa al mare tra siepi di rosmarino, ulivi e carrubi, fino alla spiaggia con gli ombrelloni bianchi, i kayak rossi e un nuovo ristorante dove il pesce si ordina al banco, scegliendo anche la ricetta. La cucina locale è protagonista anche negli altri due ristoranti, Le Lanterne e Gli ulivi, e la pasta miscata con cozze e patate è un ricordo che dura ben oltre il soggiorno, come le divise del personale in lino rosa pallido e bianco scelte da Camilla Vender.

Quelle della Spa invece sono in pepli morbidi e lunghi fino ai piedi in color mattone indossati dalle terapiste che accompagnano gli ospiti in un percorso di due ore nella penombra tra docce emozionali, sauna e relax tra i sali del Tibet. Affacciarsi al mattino nel terrazzino orlato di fiori fucsia che a sua volta incornicia il Cristo Redentore sulla montagna che domina il parco e il mare fa pensare a una sola cosa: preghiamo che resti per sempre così.

Fonte: Il Sole 24 Ore