Il processo come prodotto: una ricetta per rivoluzionare le business operation

Il problema che ogni impresa si trova a superare è sulla carta facilmente comprensibile: lo sviluppo del prodotto, la produzione, la vendita, la finanza, le risorse umane e così via sono processi che con il passare del tempo diventano complessi, rigidi e frammentati, esponendosi più facilmente all’obsolescenza a causa delle mutazioni del mercato, della tecnologia o delle capability che può mettere in campo l’organizzazione. E questo, come ben ricorda il libro, può accompagnarsi ad una pericolosa sequenza di eventi negativi, come l’avvio di programmi di trasformazione aziendale una tantum per reingegnerizzare o automatizzare i processi che poi falliscono nel 70% dei casi. Se poi si incontra una fase di recessione economica, una brusca frenata della curva di crescita di un determinato settore o una crisi globale come la pandemia di COVID-19, ecco che l’azienda (grandi multinazionali ma anche piccole e medie imprese) viene colta di sorpresa dai concorrenti che prima e più velocemente hanno evoluto e trasformato le loro attività.

«La pandemia – ha aggiunto in proposito Passerini – ha dimostrato che alcune aziende hanno reagito velocemente allo stato di emergenza e altre meno. Chi era libero da silos ha risposto prima e meglio, sfruttando una visione integrata del business». Nel libro c’è inoltre un’altra importante sottolineatura che certifica il vantaggio competitivo legato a un’efficacia operativa interna, peculiarità propria di aziende native digitali operanti anche nel mondo fisico come per esempio Amazon, e c’è il richiamo alla teoria darwiniana per rimarcare come a sopravvivere siano gli organismi (e le organizzazioni) con superiori capacità di adattamento all’ambiente mutevole in cui vivono. È in questo scenario che il leader deve assolvere al compito di preparare l’impresa alla “sopravvivenza del più adatto”, non solo attraverso programmi di trasformazione episodici bensì attraverso la trasformazione dinamica dei processi.

«Le strategie e i principi alla base dei processi dinamici – osserva infatti Passerini – sono applicabili a qualsiasi organizzazione nello stesso modo, adottando la soluzione migliore per trasferire conoscenza. Un principio chiave è intendere il processo come se fosse un prodotto da promuovere, comunicare e vendere in un libero mercato, creando attrattiva e coinvolgimento per questo prodotto sfruttando specifici Kpi. Non meno importante è quindi un secondo fattore, e cioè la responsabilità centralizzata dei processi, che vanno gestiti in modo proattivo per evitarne la frammentazione».

L’azienda, insomma, deve essere continuamente aggiornata, aggiustando i modelli operativi in relazione ai cambiamenti del business e generando valore esperienziale per gli addetti che lavorano a un determinato processo, non limitandosi alla pura e sola efficienza ma alzando la produttività del singolo per migliorare la qualità della relazione con i fornitori e, soprattutto, i clienti.

Per fare questo, conclude Passerini, servono requisiti come la continua innovazione (dei processi) per evitarne la stagnazione, una leadership molto forte e un’elevata capacità di assesment. E poi c’è la tecnologia, che va considerata un abilitatore e una leva ma «non è la soluzione di per sé, bensì un mezzo da utilizzare per raggiungere un fine. L’intelligenza artificiale e il machine learning sono strumenti utili ma necessitano di competenze per intervenire sui processi in modo mirato».

Fonte: Il Sole 24 Ore