Il ritratto scomodo di Napoleone Bonaparte

All’inizio di ottobre ha suscitato un certo scalpore la notizia che uno vicepresidente della Camera dei Deputati avesse chiesto la rimozione dal proprio ufficio d’un ritratto di Napoleone re d’Italia, opera di Andrea Appiani. Alla base della richiesta, la considerazione che l’Empereur era stato un nemico dell’Italia, l’aveva depredata di numerose opere d’arte e annessa (in parte) alla Francia.

Un refrain che è diventato ricorrente negli anni, imputando alla figura di Napoleone e, in particolare, al suo ruolo nella storia della Penisola colpe più che meriti e quindi alimentando polemiche giustizialiste più che storiografiche. Lo si è visto bene nel 2021, in occasione delle celebrazioni del bicentenario dalla morte. Un’ulteriore prova di quanto l’Italia resti un Paese con problemi irrisolti rispetto alla propria memoria storica. La maggior parte di essi – triste a dirsi – riguarda il nostro Risorgimento.

Il Risorgimento

Ad oltre 160 anni dall’Unità, del nostro processo d’unificazione non piacciono a gran parte degli italiani né gli autori né i mezzi. Il Risorgimento italiano, insomma, ha poco appeal. Lo verificano non solo gli storici, ma quanti si occupano di comunicazione e divulgazione culturale. Sono altri i periodi che gli italiani amano o tendono almeno ad annoverare come “prove” della propria identità culturale. E – forse non a caso – a godere di maggior fortuna sono epoche come il Rinascimento, in cui, al di là delle migliori espressioni dell’arte e della cultura, i nostri antenati si facevano la guerra l’un l’altro, con violenza pari solo alla gioia campanilistica di annientare chi viveva nella città vicina, ma rivale.

Il Rinascimento

Il catalogo delle efferatezze delle guerre combattute nel Rinascimento non è, in realtà, minore di quello, ben più onorevole, delle sue glorie culturali. Tornando al Risorgimento, sarebbe un errore pensare che sia solo la sua matrice dinastica a turbare gli italiani, ormai quasi tutti repubblicani, almeno per nascita. Sin dall’Ottocento, infatti, diversi storici e politici hanno cercato di attribuire al Risorgimento altre radici, parallele, se non alternative, rispetto a quelle nate in seno alla monarchia piemontese. Molti le trovarono in Napoleone. Certo, nessuno metteva in dubbio che questi avesse sempre pensato – innanzitutto – alla grandezza della Francia. Nello stesso tempo, però, l’aver esportato in Italia le conquiste delle Rivoluzione e, soprattutto, aver costituito un Regno d’Italia con Milano capitale era considerato un grande merito.

Cesare Balbo

Persino un moderato cattolico liberale come Cesare Balbo nel suo Sommario della storia d’Italia (1846) celebrava gli anni napoleonici, scrivendo che nella Penisola «non v’era indipendenza è vero, ma non ne furono mai speranze così vicino» e che fu proprio «da quegli anni» che «incominciò a ripronunziarsi con più onore ed amore il nome d’Italia», che «incominciò a mirarsi ad essa tutta insieme, e incominciarono a cadere quelle invidiuzze od invidiacce municipali e provinciali che avean lussureggiato da tanti secoli».

Fonte: Il Sole 24 Ore