Jens Eskelund (Camera Eu in Cina): «Il vero pericolo è la crisi dell’economia cinese»

Xi Jinping è sulla via del ritorno dal viaggio in Francia, Serbia e Ungheria, segno tangibile che la Cina ricomincia dal business e, in particolare, da alcuni Paesi europei considerati amici. Con l’Unione europea, nell’insieme, la situazione è ben diversa. Ma con quali riflessi sulle aziende europee in Cina? Ne abbiamo parlato con Jens Eskelund, presidente della Camera di commercio europea a Pechino, nel giorno della presentazione del Position paper annuale. Il quadro, spiega il numero uno di Maersk China, è complesso, con un’unica costante: l’inevitabilità del mercato cinese per l’Europa e, viceversa, di quello europeo per la Cina.

La Cina ha la sua agenda sull’Europa, come dimostra il viaggio del presidente Xi Jinping. Che effetti potrà avere sulle società europee che operano in Cina?

La mia impressione è che la Cina ha ancora come priorità quella di assicurarsi la tenuta del mercato europeo per le sue esportazioni. Un mercato estremamente importante che non può essere sostituito da altri. Ciò detto, sia il presidente francese Macron sia la presidente della Commissione Ue von der Leyen non possono non sottolineare che esiste uno sbilancio, un trade deficit tre volte più grande in termini di valore, quattro volte in termini quantitativi a vantaggio della Cina. C’è bisogno più che mai di incrementare l’export europeo verso la Cina.

Da un lato la Cina lamenta freni nel mercato europeo, dall’altro l’Europa stigmatizza lo sbilancio commerciale. Qual è il principale motivo di preoccupazione per le aziende europee in Cina?

In realtà il vero grosso problema oggi è lo stato dell’economia cinese in sè. Quest’anno, a differenza dell’anno scorso, i problemi interni sono di gran lunga superiori a quelli esterni. Mentre aumentano gli investimenti industriali, quelli nel settore immobiliare sono diminuiti drammaticamente. Questo è drammatico perchè se tu hai problemi sul fronte della domanda interna e continui a investire nella manifattura, l’unico livello praticabile che resta è quello esterno dell’import export, dipendente dalla domanda esterna. Avrebbe più senso, in questo contesto, investire sulla domanda interna invece che sul lato della catena delle forniture.

Fonte: Il Sole 24 Ore