La morte di Azka dopo anni di violenze, ergastolo confermato per il padre padrone

Azka aveva 19 ed era pronta a ripetere in tribunale i racconti di violenza subìti dal padre, fina dal 2014. Pochi giorni prima dell’incontro con i giudici, il 28 febbraio 2018, la giovane è morta, mentre tornava da Civitanova marche con il padre. Travolta – da un’automobile sulla quale viaggiava una coppia di stranieri – quando era già stesa sull’asfalto della provinciale 485 ad alto scorrimento non illuminata e con poche case abitate. Ad abbandonarla sull’asfalto, tramortita dopo essere stata colpita alla mascella, è stato il padre al termine di una discussione.

Uccisa prima della deposizione

È questa la conclusione – corretta secondo la Suprema corte che ha depositato le motivazioni della condanna decisa il 30 giugno scorso- raggiunta dai giudici di merito. Per l’uomo, classe ’74, c’era stata, in prima battuta da parte del Pubblico ministero, l’accusa di omicidio preterintenzionale cambiata poi, già in primo grado, in omicidio volontario aggravato. Per i giudici «il padre dopo aver brutalmente percosso la figlia l’aveva abbandonata svenuta, o comunque, in uno stato di obnubilamento tale da essere impossibilita a muoversi, sulla carreggiata, allo scopo di farla travolgere, come poi era effettivamente avvenuto, da un veicolo in transito, in maniera tale da simulare un incidente».

La tesi della difesa

Non è passata dunque la tesi della difesa secondo la quale la ragazza era scesa dall’auto del padre, che si era fermata a causa di un guasto, e stava ascoltando la musica con le cuffie quando è stata investita. Una ricostruzione smontata dai periti, secondo i quali le lesioni, contestate, subìte da Azka erano di poco precedenti l’investimento «e a questo non riferibili». A pesare anche la testimonianza dei coniugi a bordo dell’automobile che non è riuscita ad evitare il corpo della ragazza, già steso sulla strada. Un racconto giudicato sincero da parte della coppia che ignorava la storia e le vicende familiari di Azka e non poteva neppure immaginare che la ragazza fosse vittima di maltrattamenti e abusi sessuali e «tanto meno che il padre potesse aver compiuto l’azione di lasciarla svenuta o semisvenuta sulla strada».

Violenze e maltrattamenti sui figli

La Suprema corte ha confermato anche la condanna per violenza sessuale commessa sulla vittima e sulla sorella, dal 2014, e per maltrattamenti sui figli maschi. A deporre anche la madre dei minori, arrivata dal Pakistan con un permesso per motivi umanitari. La Corte d’Assise d’Appello, aveva messo anche in evidenza la difficile situazione della moglie dell’allora accusato, succube del marito e dei parenti in Pakistan. Sentenze dei giudici di merito che avevano indotto l’uomo a parlare dell’Italia come di «un paese di fascisti». Ma i verdetti sono confermati dalla Suprema corte risarcimenti compresi, con una provvisionale di 30 mila euro per la moglie e 200 mila euro per i tre figli, uno solo dei quali ancora minorenne.

Fonte: Il Sole 24 Ore