L’allarme del made in Italy: con i dazi addio competitività

L’allarme del made in Italy: con i dazi addio competitività

«Il 17% di cui si parla? Sarebbe una mazzata durissima – scandisce il presidente di Assolatte Paolo Zanetti – del tutto insostenibile per il settore, perché abbatterebbe in modo sensibile il nostro export lattiero-caseario. La Ue punti al 10%, il massimo tollerabile, diversamente ci uccidono il mercato». «Se l’accordo si chiudesse al 10% – aggiunge il presidente di Federvini Giacomo Ponti – spalmando i sacrifici lungo la catena del valore le vendite potrebbero non risentirne. Con dazi al 17% i prezzi al consumo invece aumenteranno, riducendo la domanda in particolare per i prodotti di fascia media e rilanciando l’italian sounding. Inoltre, al problema dei dazi si aggiunge la caduta a doppia cifra del dollaro e anche questo va nella direzione dell’aumento dei listini. Coprirsi è possibile ma costa, nell’ordine del 2-3% della cifra coinvolta».

Meccanica e farmaci, i settori più esposti

L’area più ampia in termini di vendite verso Washington (quasi 13 miliardi) è quella della meccanica strumentale e della componentistica, dove i timori sono minori. «Qualche azienda ha già aumentato i prezzi – spiega il presidente di Federmacchine Bruno Bettelli – anche perché nel nostro settore i margini sono ridotti, c’è poco da comprimere. C’è chi segnala già qualche riduzione nella domanda, anche se in media pensiamo che con dazi al 10% l’impatto sarà ridotto. Si tratta in fondo di tecnologie che gli Usa non hanno e al momento la Cina subisce dazi superiori ai nostri, dunque è svantaggiata, per questo io resto mediamente ottimista».

Con oltre 10 miliardi di export verso gli Usa anche i farmaci sono tra i comparti più esposti, settore finora “graziato”. «C’è un cauto ottimismo verso una trattativa che confermi dazi zero – spiega il presidente di Farmindustria Marcello Cattani – mentre con dazi al 10% la stima è quella di perdere da uno a 1,5 miliardi di ricavi per il nostro settore. Ma il danno, in realtà, sarebbe per le famiglie statunitensi, che pagherebbero di più sia i farmaci che le assicurazioni sanitarie. Si tratta poi di un settore in cui il reshoring è lungo e complesso, servono 4-5 anni per avviare una produzione da greenfield. Ecco perché penso che il dazio “zero” possa essere confermato».

Legno-arredo e automotive

In allerta anche Federlegno (2,2 miliardi di export), che in un sondaggio vede dai dazi impatti possibili per quasi la metà delle imprese intervistate. «Negli Usa il rallentamento già si vede – spiega il presidente di FederlegnoArredo Claudio Feltrin – e molti ordini dei clienti sono in stand-by. Se il punto di caduta fosse il 10% non sarebbe gradito ma comunque si potrebbe gestire. E ad ogni modo un accordo metterebbe fine a questa grande incertezza, sbloccando le decisioni sul mercato».

Colpita è anche l’area della componentistica legata all’auto, non solo per la parte direttamente spedita a Washington (1,2 miliardi) ma anche per ciò che è diretto in Germania per vetture destinate oltreatlantico, domanda che a tendere potrebbe ridursi. Tenendo conto di dazi sul settore che al momento sono al 25%, livello che porta le imprese ad esplorare nuove strade. Come Paoli, fornitore delle pistole per i pit stop dei circuiti Nascar e Indy, 10 milioni di ricavi, di cui un quarto negli Usa. «Stiamo pensando di acquistare oltreatlantico acciaio e titanio, in modo da poterlo lavorare qui e riesportare a dazio zero – spiega la presidente e ad Francesca Paoli – anche se la convenienza dell’operazione è da valutare: dipenderà dal livello raggiunto dopo l’accordo con la Ue».

Fonte: Il Sole 24 Ore