L’alta moda di Parigi si apre all’insegna del barocco e del surreale

Tra i generi letterari della moda contemporanea, la haute couture è certamente il fantasy: galoppante, rutilante, sconfinato, sdilinquito. Potrebbe invero essere il poema epico o quello cavalleresco, al meglio anche la lirica – toccante e metaforica, slegata dalla contingenza della comunicazione diretta – ma fantasy, con il suo misto un po’ raffazzonato ma visivamente trascinante di mito e soprannaturale, tra falso storico e videogioco a prova di deficit dell’attenzione di pubblici assai distratti, rende meglio l’idea. Questa componente fantastica, adesso, in una temperie soffocante che chiama fughe folli o fantasmagoriche per naturale compensazione ai giorni inani e noiosi del confinamento e dell’ansia, esplode proprio.

La sessione parigina della couture – digitale, nemmeno a dirlo, ma comunque in essere: il ciclo non si interrompe, e già questo rassicura – si è aperta oggi all’insegna del barocco, del surreale, dell’assurdo; di un immaginario ad alta visibilità, adatto a Instagram o Tik Tok: la cultura dominante è questa.

Loading…

Per la seconda volta, Maria Grazia Chiuri, da Dior, collabora con il regista Matteo Garrone, il cui Racconto dei racconti è un paradigma fantasy, e invece del fashion show produce un vero e proprio fashion film, o film tout court, dal titolo emblematico: Le Château du Tarot. Ambientato nell’architettura eclettica del Castello di Sammezzano, protagonista una spaesata Agnese Claisse alle prese con il congiungimento del proprio femminile e del proprio maschile, il film mette in scena, per quadri successivi ed episodi visuali invece che narrativi, un mazzo di tarocchi.

I tarocchi viscontei miniati da Bonifacio Bembo, per essere precisi. Perché, appunto, il tema di stagione sono queste carte simboliche, utili forse piú per l’introspezione che per la visione del futuro: monsieur Dior nutriva una fascinazione per le arti divinatorie, senza dimenticare che l’insorgenza dell’irrazionale è tipica delle epoche di crisi. In questa cornice, addosso ai diversi personaggi – quindi, a tutti gli effetti, in forma di costumi – si dipana una collezione solenne e regale, fatta di abiti dalle vite alte, di mantelli opulenti, di colori metallici ma anche di tailleur pantaloni di affilata e vellutata precisione. Il godimento dell’occhio è assicurato, ma la moda passa in qualche modo in secondo piano, impastata nella narrazione: il limite ultimo del fashion film, in fondo, è tutto qui.

Fresco del trionfo americano della scorsa settimana – ha vestito Lady Gaga in occasione della cerimonia di insediamento di Joe Biden: una immagine che ha spopolato ovunque e che è già parte dell’immaginario collettivo della agognata rinascita – Daniel Roseberry continua a dare il proprio imprinting – surreale, fumettistico, a prova di celebrity e decisamente americano nella semplificazione di temi complessi – a Schiaparelli. Ne pompa al massimo la surrealtà di maniera – orecchini come denti, bustini come addominali scolpiti o con annessi poppanti che suggono il latte, abiti che definiscono fisici bestiali, cappucci e maniche ruscellanti, e il lucchetto come borsa – che serve con una muscolarità degna di un comic strip della Marvel. Non sorprende l’onda travolgente del successo con personaggi ulta-esposti quali Kim Kardashian o Madonna, che tanto sta giovando alla visibilità del marchio: quel che a Roseberry manca in sottigliezza è compensato in dosi energiche di pop. Un pop postabile, accattivante: è moda ad alta visibilità la sua, perfetta per questi tempi.

Fonte: Il Sole 24 Ore