L’efficacia di un team di lavoro? Si misura dall’obiettivo comune

Una domenica mattina, Martina e Paolo sono seduti uno accanto all’altra sul sedile di un mini-bus. Lei, 21 anni, cuffie noise cancelling, guarda fuori dal finestrino. Lui, 53 anni, legge il suo quotidiano controllando, di tanto in tanto, lo smartphone. Apparentemente due universi paralleli. Ciò che ignoriamo, però, è che il mezzo su cui stanno viaggiando appartiene ad una non-profit che li sta portando su una spiaggia della zona. Come avrete capito, non stanno andando al mare per la tintarella. Martina e Paolo collaborano come volontari alle attività di questa associazione e spesso si incontrano in giornate come questa.

Che cosa spinge due persone che non si conoscono e così diverse tra loro a faticare insieme, fianco a fianco, in una calda domenica di fine estate? Li unisce la comune volontà e motivazione di contribuire alla realizzazione di un progetto di cui condividono il senso e gli obiettivi. Martina e Paolo hanno deciso di partecipare, cioè di prendere parte al compimento di un obiettivo in cui le singole individualità poco farebbero senza il contributo degli altri. Sono capaci di parlarsi, risolvere problemi e scambiare esperienze perché spinti dal senso di scopo che accomuna entrambi. Tuttavia, le motivazioni che li spingono a fare insieme quello che stanno facendo potrebbero essere molto distanti tra loro e ognuna allo stesso modo valida. L’una potrebbe voler approfondire sul campo l’entità del fenomeno dell’inquinamento perché studia Ecologia e Sostenibilità dei Cambiamenti Globali; l’altro presta il suo tempo e le sue energie perché quella è la spiaggia dove andava da ragazzino e ci è affezionato. Il risultato sono due persone che, superando ogni tipo di gap generazionale, lavorano insieme e alla fine celebreranno il risultato raggiunto.

La domanda che possiamo porci, visto che in questa rubrica siamo abituati a confrontarci sui temi della managerialità a tutto tondo, è la seguente. Se lavorassero nella stessa organizzazione, se appartenessero allo stesso team, riuscirebbero Martina e Paolo a collaborare nello stesso modo? La verità è che non possiamo saperlo con esattezza, ma sono certa che una vocina, appena avete letto questa domanda, vi ha detto qualcosa del tipo: “magari!”, lasciando intendere che le difficoltà di coesistenza e collaborazione tra le varie generazioni sui posti di lavoro ci sono, sono palpabili e frequentemente limitano i risultati, la soddisfazione e la serenità di tutti.

Ciò accade anche perché linguaggi, esperienze, prospettive, che differiscono naturalmente tra le generazioni, si trasformano in elementi divisivi perché ancorati a degli stereotipi dannosi e controproducenti. Le culture organizzative poco inclusive alimentano quelle difficoltà di comunicazione e convivenza tra “diversità”, producendo ambienti rancorosi e difensivi. Eppure, Martina e Paolo, ci dimostrano che, concentrandosi su un terreno comune, è possibile costruire quella fiducia necessaria per prendere insieme quel mini-bus, una domenica mattina. Entrambi si percepiscono come compagni di viaggio. Facciamo fatica a pensare che non si fidino l’uno dell’altra o che non chiedano e forniscano reciprocamente aiuto in caso di difficoltà.

Cosa possiamo imparare dall’aneddoto di Martina e Paolo rispetto ai contesti organizzativi dove generazioni diverse lavorano gomito a gomito? Molto e da svariati punti di vista. Posizionandoci nella prospettiva organizzativa, possiamo capire che la condivisione dello scopo, la valorizzazione dei contributi dell’intera popolazione aziendale e una certa dose di autonomia decisionale, ad ogni livello, sono elementi che trasversalmente risultano importanti per ogni generazione e generano motivazione. Dal punto di vista del team di lavoro, capiamo che la fiducia reciproca di trovarsi a lavorare per lo stesso obiettivo è la radice dell’efficacia del team stesso. Dal punto di vista individuale, ciò che accomuna i nostri due protagonisti è la decisione di partecipare attivamente, lo scatto “verso”. Sì, ma cosa ci spinge, quando accade, a prendere lo slancio per questo scatto?

Fonte: Il Sole 24 Ore