Lotta alle pratiche sleali, l’industria agroalimentare: alcune norme difficili da applicare

Non è mai stato semplice regolare mediante la legge il mercato. Tentare di ridurne squilibri. Non è mai stato facile in passato e non lo è oggi. Ne è una conferma l’avvio in Italia delle norme di contrasto alle pratiche commerciali sleali nel settore agroalimentare previste dal decreto 8 novembre 2021 (che ha recepito la direttiva Ue 633 del 2019). Un tema sul quale l’Italia ha fatto da apripista in Europa visto che una prima rete di sicurezza era già stata introdotta con l’articolo 62 della legge 1 del 2012.

Le nuove regole che nel nostro Paese si applicano senza limiti di fatturato dei contraenti hanno introdotto l’obbligo di contratti in forma scritta che abbiano una durata minima di un anno (tranne che per ristoranti, bar e pubblici esercizi). Escluse dalla disciplina anche le vendite ai consumatori finali. A essere vietate sono pratiche che vanno dal pagamento in ritardo all’annullamento con preavviso breve di ordini di prodotti deperibili, dal divieto di imporre prezzi inferiori ai costi alla modifica unilaterale delle condizioni di un contratto fino alla minaccia di ritorsioni commerciali. Oltre a queste condotte che rientrano nella “black list” dei comportamenti sempre off limits, le norme prevedono anche una “grey list” di pratiche che possono essere adottate se concordate tra le parti come la restituzione, senza pagamento, di prodotti invenduti o la condivisione di costi di marketing e pubblicità. Il contratto deve essere stipulato prima della consegna della merce e deve includere clausole per definire la durata, le quantità e le caratteristiche del prodotto venduto, il prezzo, nonché le modalità di consegna e di pagamento.

Il decreto è in vigore da novembre «mentre il prossimo 15 giugno – spiega Fausto Caronna, senior attorney dello studio Cleary Gottlieb che ha effettuato un monitoraggio sul sistema in Europa – scade il termine per adeguare tutti i contratti alle nuove regole. Infatti, mentre i nuovi accordi nascono nel rispetto della normativa, entro metà giugno vanno adeguati i contratti, magari pluriennali, stipulati in precedenza. Da quel momento l’intero sistema sarà a regime».

Il passaggio alla nuova regolamentazione sta tuttavia provocando qualche difficoltà all’industria alimentare, dal lattiero caseario ai salumi, dall’industria olearia a quella mangimistica fino ai cereali. In più di una filiera le nuove norme non sempre si conciliano con prassi consolidate. Un tema del quale si discuterà certamente al Cibus, dal 3 al 6 maggio a Parma.

«C’è un aspetto da chiarire – spiegano ad Assolatte – riguardo al divieto di imporre prezzi inferiori ai costi. In una trattativa diamo per scontato che se il fornitore accetta la nostra proposta i costi siano coperti. Come facciamo a conoscere la dinamica produttiva di ogni controparte? Senza contare che in un frangente come l’attuale di grande escalation dei costi energetici è possibile definire un prezzo in un contratto che nel giro di poche settimane si rivela inferiore agli oneri produttivi. E invece si corre il rischio di essere sanzionati. Occorre una forma di manleva che garantisca le parti».

Fonte: Il Sole 24 Ore