Mense in crisi, i gestori: «Legare i prezzi del servizio ai costi delle materie prime»

L’impennata dei costi delle materie prime alimentari e dell’energia colpisce anche le mense di scuole, ospedali, imprese pubbliche e private. La causa è (anche) nei contratti siglati nel recente passato, ma legati a costi che ormai sono molto lontani: un fenomeno che del resto è evidente in tutti i settori economici e che sta causando l’aumento dell’inflazione a doppia cifra. I gestori dei servizi di ristorazione collettiva, soprattutto se legati a contratti rigidi sul fronte del prezzo e di lungo periodo, denunciano infatti di essere costretti a lavorare in molti casi in perdita, anche a causa di normative carenti o mal applicate, non riuscendo ad applicare prezzi adeguati al nuovo contesto, come succede invece altrove.

A lanciare l’allarme è Carlo Scarsciotti, presidente di Angem, l’associazione nazionale di categoria legata a Fipe-Confcommercio, in occasione degli Stati Generali della Ristorazione Collettiva in corso a Roma: «Queste distorsioni – ha sottolineato – di fatto costituiscono una violazione del principio delle uguali regole in uno stesso mercato. Le imprese che hanno siglato i contratti pre-pandemia, quando non era previsto alcun adeguamento dei prezzi, si trovano ora a lavorare in perdita: non ricordo altri esempi di servizi pubblici essenziali in appalto che operino a prezzi fissi malgrado la fiammata inflazionistica. Chi lo ha sottoscritto dopo, invece, vive nel limbo costituito dalla discrezionalità lasciata ad ogni stazione appaltante. In pratica, abbiamo decine di migliaia di committenti in tutta Italia, ciascuno dei quali è libero di dettare le condizioni che preferisce in merito all’adeguamento dei prezzi, in ragione del boom dell’inflazione e dei costi energetici. Tutto questo è inaccettabile».

Il riferimento è a una duplice problematica a livello normativo: da un lato «la scarsa e non uniforme applicazione della norma del Sostegni ter che impone alle stazioni appaltanti (Comuni, Regioni, Pubbliche amministrazioni, ma anche Asl, Corpi di polizia, ecc…) di inserire all’interno dei bandi di gara apposite clausole per la revisione dei prezzi», spiega una nota di Angem. Dall’altro «l’impossibilità, per molte imprese, di rispettare i vincoli imposti dai Criteri Ambientali Minimi, che sanciscono l’obbligo di portare in tavola una percentuale di prodotti certificati Bio. Prodotti che oggi però o sono difficili da reperire, o sono molto onerosi».
L’allarme è rivolto al Governo cui dipendono le sorti del prossimo Codice degli appalti e in particolare al Ministero delle Imprese e del Made in Italy e al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

«Occorre – spiega il presidente Scarsciotti – stabilire dei criteri uniformi in relazione ai quali le aziende della ristorazione collettiva possono richiedere l’adeguamento dei prezzi, proprio come avviene negli appalti per i lavori, valorizzando e ridando fiato alle migliaia di piccole, medie e grandi aziende del comparto».

«Se l’impennata dei prezzi delle materie prime e dei costi dell’energia è un problema per tutte le imprese – commenta Lino Enrico Stoppani, presidente di Fipe-Confcommercio – nel caso della ristorazione collettiva c’è un problema in più. L’obbligo di operare in costanza di prezzi fissi, in un quadro di grande volatilità, diventa un fardello che da solo è sufficiente a spiegare le difficoltà nelle quali versa chi opera in questo settore. Auspichiamo che le clausole di salvaguardia introdotte nello schema preliminare del nuovo codice appalti possano essere d’aiuto per la sostenibilità economica ed operativa delle aziende che erogano un servizio di interesse pubblico».

Fonte: Il Sole 24 Ore