Napoli sempre più in volo. Milan e Juventus in caduta libera

E Berardi, che in queste carneficine si esalta, è il torturatore principe. Tutto viene da lui: un gol di testa su calcio d’angolo, tre assist, un totale dominio della sua zona. Teo Hernandez, al suo confronto, sparisce. Mai pervenuto. Distratto, abulico, poco reattivo. Peraltro come tutto il Milan, molle sulle gambe e nelle sincronie difensive. C’è anche molta confusione. Cambiare sei giocatori, rispetto alla partita con la Lazio, non ha aiutato. Ognuno poi sbaglia a modo suo: il portiere Tatarusanu, sul secondo gol del Sassuolo (Frattesi), non è certo impeccabile, ma è inutile cercar un singolo colpevole. È tutto il gruppo svanito nel nulla.

Il 5 febbraio derby con l’Inter

«Valuterò dei cambiamenti», dice Pioli rendendosi conto che questa squadra non è più la stessa di qualche mese fa, quella che ha vinto lo scudetto divertendo e facendo spettacolo. L’anno scorso il Milan, nell’ultima di campionato, aveva mangiato il Sassuolo. Ora la situazione è rovesciata. Il banchetto l’hanno fatto gli emiliani. In una situazione così precaria, con l’Inter in arrivo il prossimo 5 febbraio, e una Champions che fa paura, forse è meglio salvare il salvabile, mettere un argine a questa caduta senza fine. Perfino Leao è svanito nella sua bolla. Ora naturalmente saltano fuori i problemi di mercato. Quando una squadra gira, tutti vogliono restare. Al contrario, se si affonda, i topi scappano. Non mancano gli interrogativi sul mercato: d’accordo non far debiti, e non imitare i funambolismi contabili della Juve, però la campagna acquisti del Milan è stata finora fallimentare.

La nuova proprietà, il Redbird di Gerry Cardinale, da quando è alla guida del Milan (31 agosto), più che proclami non ha fatto. Tante belle parole, molto in inglese che fanno fine, ma poca sostanza. Si sente la mancanza di Ivan Gazidis, l’ex amministratore delegato dello scudetto. Il 31 gennaio il mercato chiude ma Pioli e Maldini hanno già detto che non ci sono new entry in arrivo, tantomeno Zaniolo che avrà già i suoi guai restando alla Roma. Il Milan, che ha già perso quasi tutti i suoi obiettivi di stagione (resta la Champions, ma con questi chiari di luna…), deve soprattutto mettersi in sicurezza. Perdere un posto in Champions vuol dire rinunciare ad altri 40 milioni, forse è il caso di ripartire da questa primaria consapevolezza.

Il Milan come la Nazionale dopo l’Europeo

Fatte le debite differenza, la crisi del Milan ricorda quella della nazionale italiana dopo il trionfo all’Europeo. In pochi mesi dall’euforia si è passati al panico. Un cambio di scena quasi sbalorditivo. Gli azzurri si sono fatti beffare dalla Macedonia, il Milan da chiunque incroci sulla sua strada. Viene in mente Serginho che in azzurro ha sbagliato rigori elementari e decisivi. Nel Milan sembrano tutti dei Serginho: molli, imprecisi, appagati. Come se, dopo il grande sforzo per lo scudetto, le energie fossero esaurite. In tutto questo è già cominciato il tiro al bersaglio su Pioli, santo fino a un mese fa, ora già guardato con sospetto. Pioli, con Maldini e Massara, è stato l’architetto della rinascita del Milan. Un po’ di rispetto non guasta anche se il calcio, come la politica, è mobile come una piuma al vento. «L’italiano sale sempre sul carro del vincitore, ma è prontissimo a scendere se si accorge d’aver sbagliato carro», diceva un saggio.

In picchiata anche la Juventus (0-2 col Monza)

A proposito di disfatte e crisi societarie sconcertanti, la Juventus torna a far parlare di sé. Più nel male che nel bene. A parte che oggi verranno rese note le motivazioni del meno 15 (ne sapremo delle belle), la squadra di Allegri si è presa una nuova ripassata dal Monza, sempre per due a zero, gol di Ciurria e Mota. Come all’andata, ma questa volta a Torino, la Juve ha dovuto alzare bandiera bianca dopo un primo tempo quasi peggiore di quello del Milan col Sassuolo. Una dormita colossale, quella dei bianconeri, che permette ai brianzoli di scavalcarli in classifica. «Dobbiamo far punti sul campo», aveva detto Max cercando di risvegliare il ferito orgoglio bianconero. Parole al vento anche le sue, visto che la Juve si è riconnessa solo dopo aver bevuto il tè tra il primo e il secondo tempo. Troppo tardi, però.

Fonte: Il Sole 24 Ore