Offese al politico sdoganate, per l’uomo-social i toni forti sono la regola

Bugiardo, fannullone, cocco di mamma, imbroglione verso i propri elettori, dedito più allo champagnino e ai brindisi che altro. Sono gli “apprezzamenti” rivolti da un ex sindaco al primo cittadino in carica, avversario di partito, che erano costati all’ex amministratore una condanna per diffamazione aggravata in primo e secondo grado. Un verdetto sul quale la Cassazione passa definitivamente un colpo di spugna con la formula <perché il fatto non costituisce reato>. A finire sul tavolo dei giudici era stata un’intervista fatta da una giornalista, considerata nelle fasi di merito corresponsabile del reato – pubblicata su un profilo Facebook – nella quale l’imputato aveva accusato l’esponente del partito contrapposto, alla guida del comune, di aver usato i soldi dell’aumento delle tasse invece che per i più bisognosi, come promesso in campagna elettorale, per aumentare l’indennità di carica degli amministratori comunali del 5%, ovviamente compresa la sua. Quella che la Suprema corte considera critica politica, era stata fatta in maniera decisamente forte, tanto da essere bollata dalla Corte d’Appello come umiliante e gravemente infamante.

La verità del fatto

L’avversario era stato accusato di essere un imbroglione, bugiardo, incapace, fannullone e mammone. Un sindaco, “mantenuto” che campava a spese del comune con oltre 2mila euro per fare solo dissesto, senza gestire alcun problema. Nella lista dei difetti anche una dedizione allo champagnino. Gli ermellini ammettono che le considerazioni sono offensive, ma tutto va relativizzato, a fronte della verità del fatto scatenante, l’aumento dell’indennità messo in atto grazie alle tasse più alte malgrado la promessa di impiegare quel denaro per uno scopo certo socialmente più importante, come aiutare i più poveri della città. Pesa poi soprattutto la mutata sensibilità da parte dell’opinione pubblica, nel percepire le offese rivolte ai politici. I toni aspri sono ormai stati sdoganati. L’asprezza quanto le espressioni colorite, che possono in alcuni casi anche avere la parvenza di un attacco personale, non sono un reato, ma sono spesso l’essenza della critica politica, di “impatto” per i cittadini, soprattutto quando al centro di questa ci sono condotte biasimevoli da parte degli amministratori pubblici. Considerazioni queste che valgono a maggior ragione quando il politico viene preso di mira sui social. Un canale dove è frequente <l’uso di espressioni forti in chiave di immediato e poco meditato commento critico>. La Suprema corte ricorda poi che i giudici di Strasburgo, in nome della libera manifestazione del pensiero, hanno alzato di molto l’asticella del consentito, quando oggetto degli strali e un politico e il tema è di interesse pubblico.

Il penalmente rilevante scatta solo quando le frasi incriminate sono subito percepite come oltraggiose secondo la sensibilità dell’uomo medio. Ormai molto cambiata.

Fonte: Il Sole 24 Ore