Pitti Uomo torna dal 14 al 17 giugno, con 640 aziende. Si punta su selezione e qualità

La più importante fiera al mondo della moda maschile, Pitti Uomo, torna dal 14 al 17 giugno alla Fortezza da Basso. Terza edizione dal dopo-lockdown, un altro passo verso la normalità pre Covid: i marchi che presentano in presenza le collezioni per la primavera-estate 2023 salgono a 640, di cui un centinaio nuovi, per il 38% in arrivo dall’estero.

Più selezione per un’offerta di qualità

Pur essendo ancora lontani dai livelli pre pandemia (1.200 brand) gli organizzatori di Pitti Immagine sottolineano come sia continuata l’attività di selezione: «La fiera aperta a tutti non funziona più, anche in questa fase occorre valutare le richieste delle aziende che vogliono partecipare per costruire un’offerta di qualità», spiega il presidente Claudio Marenzi, presentando a Milano il salone numero 102 con i vertici di Pitti Immagine. Rispetto al passato aumentano i marchi piccoli e di ricerca e aumenta l’offerta di lifestyle, ma resta il mix di brand piccoli/grandi ed emergenti/affermati, affiancato da eventi dentro e fuori la Fortezza, caratteristica delle fiere del Pitti.

Mancheranno i buyer asiatici e russi

«Non vogliamo più parlare di ripartenza – dicono tutti –, ma di una nuova marcia». La pandemia si farà ancora sentire sul lato dell’offerta (non ci sono per esempio i giapponesi, che in passato contavano 100-150 espositori) e mancheranno i buyer asiatici e russi: «Non ci aspettiamo i 20mila operatori medi del passato – ha spiegato Raffaello Napoleone, ad di Pitti Immagine –, ma ci auguriamo di arrivare a quota 15mila. Il ministero degli Affari esteri e Ice continuano a supportarci per ospitare buyer: non si può finanziare con soldi pubblici chi arriva dalla Russia, ma se qualcuno chiede di venire per conto proprio lo accogliamo volentieri».

Le sfide per la filiera del menswear

Sulle prospettive di mercato dell’industria della moda maschile pesano tre incognite, dopo un inizio d’anno brillante: la guerra in Ucraina, che ha minato il clima di fiducia dei consumatori e ha fatto crollare, a partire da marzo, l’export verso la Russia (pari al 3% del totale); il lockdown della Cina, che sta preoccupando i grandi marchi esposti verso quel Paese; le turbolenze delle aziende a monte della filiera, che stanno soffrendo l’aumento dei costi energetici, logistici e delle materie prime e anche la loro scarsa disponibilità, «Nei prossimi anni dovremo riflettere se riportare vicino a casa le produzioni a monte – ha aggiunto Marenzi –. Per lungo tempo abbiamo pensato “prima vendiamo, poi troveremo il modo di produrre”. In futuro dovremo cambiare approccio e pensare “se voglio vendere, devo capire come produrre”. Dobbiamo integrare monte e valle del nostro lavoro, ci aspettano grandi sfide per ridisegnare il sistema».

Sull’andamento 2022 Marenzi è comunque ottimista: «A fine anno torneremo ai livelli preCovid, colmando il gap del 5% che restava a fine 2021, anche se forse non lo faremo brillantemente come avevamo immaginato mesi fa: molto dipenderà dalla Cina, la maggiore incognita».

Fonte: Il Sole 24 Ore