Prestito a Kiev con gli asset russi nel cassetto

Assolte le necessarie precondizioni, le banche in cui sono depositati attualmente i fondi russi potrebbero emettere a favore di un Fondo per il sostegno dell’Ucraina prestiti pari al valore degli assets russi detenuti dalla banca. Le riserve sovrane russe formalmente resterebbero intatte, e bloccate, mentre l’Ucraina riceverebbe subito il denaro a interessi vantaggiosi e, diciamo, su due anni.

Se in questi due anni la Russia non mette fine alla guerra, o se ferma la guerra ma non paga le compensazioni, il prestito potrebbe essere prorogato indefinitamente. Ma nel caso di un cambio di leadership, e se il Cremlino accettasse di pagare le riparazioni, i primi 300 miliardi di dollari verrebbero trasferiti al Fondo per il sostegno dell’Ucraina che potrebbe rimborsare i prestiti alle banche.

In sintesi, consiglierei ai governi e alle autorità finanziarie occidentali di creare uno schema che non implichi una confisca diretta degli assets sovrani russi, cosa che farebbe infuriare il Cremlino ma che assesterebbe anche un colpo significativo al sistema finanziario occidentale, come hanno già fatto notare cinesi e sauditi. Un meccanismo meno rischioso porterebbe allo stesso risultato.

Il “solo” problema che potrebbe nascere è che un nuovo governo russo si rifiuti di pagare il totale delle riparazioni richieste dagli ucraini, che al momento stimano in mille miliardi il danno inflitto. Mosca potrebbe cancellare i 300 miliardi dai propri registri e dimenticare il resto. A mio parere anche questo potrebbe essere un finale positivo, dal momento che l’Occidente non può costringere la Russia a pagare di più. Ma almeno questo sequestro “soft” non verrebbe considerato un nuovo casus belli, diversamente dall’attuale proposta americana. Un’iniziativa che non mi sembra affatto una soluzione: al contrario, qualcosa che crea un nuovo problema, anche più serio.

Professore di Economia internazionale, direttore del Centro Studi post-industriali di Mosca e consulente speciale del Progetto Russia al Middle East Media Research Institute di Washington

Fonte: Il Sole 24 Ore