Roberto Cavalli, uno spirito libero che amava la moda ma non conquistare il mondo

Da dove iniziare per ricordare Roberto Cavalli? «I am the party» rispondeva affermativo a quanti chiedevano «Where is the party?» nello spot per il lancio della collaborazione con H&M. Era il 2007, fu uno dei primi a immaginare abiti sensazionali ma di poco prezzo per il gigante svedese del fast fashion. Indimenticabile, in uno show di qualche anno prima, un tubino azzurro ricamato, come un vaso Ming da indossare: idea elementare ma efficacissima. Per non parlare delle maglie stampate che aveva creato, da pioniere, per Anna Molinari, e dei jeans trattati in ogni modo e maniera.

Mitica, ancora, una sfilata ambientata nello studio di Mariano Fortuny e popolata di divine decadenti del genere Marchesa Casati. Fortuny è paragone calzante, mutatis mutandis e al netto dell’estetica selvaggia ed eccessiva: Roberto Cavalli, nipote del pittore macchiaiolo Giuseppe Rossi, applicava una sensibilità pittorica alla materia mentre immaginava abiti pieni di sensualità. Era libero e sregolato, e così la sua moda che negli anni 2000 ha visto l’apogeo, infrangendo la barriera del buon gusto con un orgoglioso bling bling.

Da autentico spirito libero, ha sempre coltivato, metaforicamente, il suo giardino, facendo quel che gli piaceva senza la smania di conquistare il mondo che oggi è fregola generale. Ha creato un’estetica, che gli sopravvive ed è parte della storia. Senza di lui, il party della moda non è più lo stesso.

Fonte: Il Sole 24 Ore