Tramonti e altre dolcezze a La Mamounia, gioiello dell’ospitalità marocchina

Tre giorni pieni. Tanto sono durati i festeggiamenti per i cento anni di La Mamounia, l’hotel-monumento di Marrakech. Spettacoli, cene in giardino con tavolate infinite, danze, fuochi d’artificio. D’altra parte se lo meritava questo cinque stelle lusso nel cuore della Medina, dove dal 1923 sono passati davvero i più illustri personaggi di ogni epoca. Winston Churchill scrisse alla moglie: «La Mamounia è un posto meraviglioso, uno degli alberghi più belli che abbia mai visitato» e, quanto a hotel, il politico inglese era di gusti molto raffinati.

Altrettanto lo hanno apprezzato Alfred Hitchcock, che ha girato qui alcune scene di “L’uomo che sapeva troppo”, Charlie Chaplin, Yves Saint Laurent e Pierre Berger quando cercavano una casa in città, Francis Ford Coppola. E poi i Rolling Stones e Paul McCartney, che nel 1973 gli ha dedicato la canzone “Mamunia”. La lista è davvero troppo lunga per raccontare quante personalità ha accolto questa istituzione dell’ospitalità marocchina di proprietà della famiglia reale.

Il Palace protetto da mura color rosa e immerso in un magnifico parco è un mix di Art Déco e stile arabo andaluso, e su quella base poetica, che rimane integra, sono stati apportati diversi rinnovi. Uno dei più importanti (e anche controversi) è stato nel 2009 il progetto di Jacques Garcia, famoso per i suoi interni saturi di colori, velluti e cuoio, netti chiaro-scuri. Può non piacere ai nostalgici delle cose com’erano, ma l’architetto francese è riuscito a mettere in relazione, come nessuno prima, gli interni con il palmeto e l’uliveto secolare.

La palestra è in mezzo al giardino, e ci si allena sul tapis-roulant o sul percorso all’aperto letteralmente abbracciati da una giungla verde. Anche l’orto è immenso e soddisfa le cucine dei ristoranti (marocchino, italiano e asiatico) aperti al pubblico come i bar e la pasticceria di Pierre Hermé, star indiscussa dei macaron. Finita l’era Garcia, si è ora entrati nel contemporaneo con lo studio degli architetti Patrick Jouin e Sanjit Manku, che hanno modernizzato la scenografia con il nuovo Chandelier Du Centenaire, il lampadario nella lobby subito soprannominato «il gioiello» perché ispirato alle collane berbere, con centinaia di perle e pendenti in argento. Un altro pezzo che aggiunge meraviglia a questo luogo di incontro, condivisione e mondanità, dove l’accoglienza è principesca, con due eleganti signori in mantello che aprono il portone intarsiato e salutano ogni singolo ospite in arrivo o solo di passaggio per un drink.

Strettamente riservata a chi invece soggiorna in hotel è la prima colazione a bordo piscina alla mattina, con spremuta di arance freschissima e un buffet dolce/salato a cui è difficile porre un limite (chi si ferma più notti può provare diversi abbinamenti). Anche il rientro in camera a fine pomeriggio è un momento speciale. Lì sembra tutto immobile da un secolo, le piastrelline a mosaico dipinte a mano, gli stucchi e gli intagli, le corne de gazelle al profumo di zagara sull’alzatina con gli altri dolcetti. Ci si siede in balcone: il caldo ha ceduto alla sera, il cielo è a strisce rosa, arancione e rosso, il muezzin chiama la città alla preghiera dal minareto. È uno di quei momenti di felicità. Inspiegabile, ma sempre replicabile. A volte ci vuole così poco.

Fonte: Il Sole 24 Ore