Wael Shawky protagonista a Pompei Commitment e da Lia Rumma

Dopo un biennio dedicato a progetti digitali, il primo programma d’arte contemporanea a lungo termine istituito dal Parco Archeologico di Pompei, «Pompei Commitment. Materie Archeologiche», ha esordito nel mondo reale il 12 maggio scorso presentando, in anteprima internazionale tra le rovine del Piccolo Teatro Odeion, l’opera filmica «I Am Hymns of the New Temples» di Wael Shawky, artista egiziano classe 1971.

L’opera è un racconto epico e visionario di quasi un’ora che – nelle parole del curatore scientifico Andrea Viliani – “narra genesi, distruzione e rinascita” interrogando le relazioni tra fatti storici e mito, ma anche gli intrecci culturali tra antichi culti egiziani e tradizione greco-romana di cui Pompei, distrutta dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., è una delle maggiori testimoni. Protagonisti del film sono attori che cantano e danzano sull’orlo dell’abisso, tra le rovine del parco archeologico, avvolto in colori psichedelici in post-produzione. I loro movimenti sono a tratti meccanici, ricordano le marionette dei primi film di Shawky, e i volti sono coperti da maschere in ceramica e cartapesta in cui confluiscono fisionomie umane, animali ed elementi oggettuali, inducendo una riflessione organica su vita e autodeterminazione. Adesso l’opera, finanziata con 250 mila euro dal bando pubblico del PAC 2020 – Piano per l’Arte Contemporanea promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea e Ministero della Cultura, approda negli spazi di Lia Rumma di Milano, che inaugura una mostra di qualità istituzionale dedicata all’artista, la seconda in galleria.

La carriera

“La prima volta che ho visto il lavoro di Wael Shawky è stato nel 2010 alla Fondazione Pistoletto – Cittadellarte” ricorda la gallerista, e aggiunge “la mostra Myths includeva la prima opera video della trilogia «Cabaret Crusades» (2010), ne sono rimasta folgorata”. Nel 2012, Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice uscente del Castello di Rivoli, invita l’artista a realizzare la seconda opera filmica della trilogia a Documenta 13 a Kassel, e la sua carriera prende il volo. Dai premi – il Kunstpreis der Schering Stiftung (Berlino, 2011), il Louis Vuitton and Kino der Kunst Award for Filmic Oeuvre (Monaco, 2013), il Mario Merz Prize (2015) – Shawky passa rapidamente a realizzare mostre personali nelle più importanti istituzioni internazionali. Nel 2013 è il turno delle Serpentine Galleries di Londra; la prima presentazione in un museo americano è nel 2015 al Moma PS1 di New York, e nel 2016 arriva al Castello di Rivoli e alla Fondazione Merz, entrambe a Torino. Poi nel 2020 realizza una performance per il Louvre Abu Dhabi (2020), e nel 2022 è protagonista di una mostra personale al M Leuven Museum di Bruxelles. E tra i prossimi appuntamenti – nel 2024 – ci sono una personale al Lille Métropole Musée d’art moderne in Francia e al Daegu National Museum in Corea del Sud.

Il mercato

“Il nostro sodalizio nasce a Rivoli nel 2016 e sfocia nella sua prima mostra personale a Napoli nel 2018, da cui è partito l’invito del curatore Andrea Viliani a Pompei” afferma Rumma. Per lei “le opere di Shawky hanno una forza onirica, mettono in scena fatti storici della tradizione medio-orientale e le loro contraddizioni, ma il fiabesco domina sull’aspetto documentario, ed emerge spesso un’idea di giustizia”. Ed è proprio la capacità di ricostruire una storia collettiva del Mediterraneo, tra contrasti, guerre e momenti di scambio commerciale e culturale, che ha destato l’interesse del collezionismo. “Negli anni le sue opere sono state acquisite da importanti collezioni permanenti sia in Italia che all’estero, tra cui il Museo MACRO di Roma, il Fiorucci Art Trust di Londra, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a Torino, il Castello di Rivoli, la Tate Modern a Londra, il MoMA e The Met a New York, l’APT Dubai, e la François Pinault Collection di Parigi” elenca la gallerista. Dopotutto, l’opera video, spiega, “non è più considerata come qualcosa di estraneo all’arte, e non ha particolari difficoltà a entrare in collezioni pubbliche e private”. Ma nella pratica di Shawky ci sono anche disegni, dipinti, e sculture multi-materiche realizzate in collaborazione con laboratori e istituti in occasione delle produzioni video.

La mostra

Nella Galleria Lia Rumma di Milano, intorno al film, l’artista mette in scena disegni, dipinti e sculture in vetro e ceramica che mescolano riferimenti letterari, mitologici e stereotipi tramandati nei secoli. Queste opere, in vendita a prezzi da 30.000 fino a 250.000 euro, sono prodotte in collaborazione con l’eccellenza artistica italiana, Berengo Studio a Venezia per il vetro e l’Istituto Caselli Real Fabbrica di Capodimonte a Napoli per la ceramica. Le opere abitano i tre piani della galleria come emanazioni del passato avvolte in una suggestiva scenografia dalle tinte magenta, che fa pensare al tramonto – o forse all’alba – dell’umanità. Shawky, che nella sua pratica ha usato anche il bronzo e il legno intagliato, interpreta il materiale in senso letterario e trans-storico. “Quando lavoro a un film cerco sempre di trovare i materiali giusti per tradurre certi passaggi del racconto filmico – per esempio quando ho lavorato in «Cabaret Crusades» si vede chiaramente il coinvolgimento dei veneziani nella crociata, intenti a far accordi con i francesi per conquistare Alessandria e procedere verso Gerusalemme. Naturalmente il programma cambiò, si recarono a Zara e poi conquistarono Costantinopoli” ricorda l’artista mentre spiega come il vetro di Murano abbia influenzato la creazione artistica.
Anche con la ceramica Shawky ha un rapporto pre-esistente, nato durante la produzione di «Cabaret Crusades». “Mentre lavoravo ad Aubagne in Francia ho scoperto che è una zona storicamente famosa per la produzione di santoni, piccole figure in ceramica di tradizione cristiana europea. Ho usato la stessa tecnica per realizzare delle marionette che raccontavano la storia delle crociate ma dal punto di vista arabo”. Il cortocircuito tra significato, processo e luogo torna nell’esperienza a Pompei e Napoli, che nell’immaginario di Shawky diventano capitali di un’antichità da cui, sembra suggerirci, c’è da imparare qualcosa per il futuro.

Fonte: Il Sole 24 Ore