A Venezia l’arte di bere si compie in magici hotel

Certo: capiti a Venezia e, prima o poi, devi andare all’Harry’s Bar, regno di Arrigo Cipriani. Bellini, toast Pierino, carpaccio – ovviamente al piano terra, dove gli avventori abituali (i “senatori”) dello storico locale, hanno tavolo riservato, almeno fino a una certa ora. Una di quelle cose entrate ormai da anni nell’immaginario popolare, giornalistico e letterario che “devono” far parte del tuo bagaglio culturale. Storia e gloria, rito e mito: una immarcescibile sfilata che si ripete e che, proprio nell’eternarsi, supera le mode. Eppure, adesso che la Biennale impazza e tutto il bel mondo dell’arte sciama per calli, padiglioni, gallerie piccole e grandi palazzi rimessi a nuovo o scenari che diventano improvvisamente luoghi adatti all’arte (poco importa che sia del Sud o del Nord del mondo, tutti siamo stranieri, persino a noi stessi, a un certo punto), sul far della sera – e fino a notte – non si vede l’ora di andare a bere un cocktail (beh, più di uno, siamo seri): drink come dio comanda, con bartender che si sfidano a colpi di invenzioni, ricette, preparazioni e ingredienti più o meno segreti.

Per anni sono stato un ammiratore di Walter Bolzonella al Cipriani alla Giudecca, ma di recente sono stato folgorato dalla sapienza e dalla qualità, dalla capacità di racconto ma anche dall’umiltà di una coppia alla guida dell’Aman, uno degli hotel più prestigiosi del mondo (e un general manager, Licinio Garavaglia, con una marcia in più) – a Palazzo Papadopoli, charme inconfondibile. Uno è il bar manager Antonio Ferrara, giovanissimo capo di The Bar Aman Venice e leader di uno staff affiatato e preparato. Mi racconta della carta, ispirata a Byron, mentre prepara e shakera, davanti a me. Sto al bancone, così si chiacchiera meglio e si percepisce plasticamente la maestria di Antonio. Mi conquista con un Martini speciale, siamo al terzo giro, concluso con foglia d’oro (e gin sentore di pepe), preparato per stupire il conte Gilberto Arrivabene, che abita ai piani superiori. Nella nuova carta, poi, sei cocktail riprendono altrettanti saloni del palazzo: e alla fine c’è un segnalibro Rubelli, che firma i tessuti dell’edificio.

L’altro è lo chef Matteo Panfilio, anima dell’Arva: tutto ottimo, carta e servizio. Ma oltre alla cena, consiglio il brunch, aperto a tutti nel weekend. L’attenzione ai dolci e ai lievitati è spasmodica. Matteo è figlio d’arte ed è su un sentiero luminoso: stella Michelin a un passo, non ho dubbi.

Chi di stelle se ne intende è Philip Chronopoulos (ne ha due a Parigi), che ha aperto ora il Palais Royal Restaurant Venezia in uno scenario tra i più incredibili, per me, in città. Il ristorante è infatti nel cuore dell’ex Palazzo della Borsa, divenuto oggi l’hotel Nolinski (gruppo Evok), una delle novità più belle degli ultimi anni. Lo dico con triplice convinzione: primo per la qualità eccellente dell’ospitalità, secondo per l’attenzione al dettaglio con la quale i creativi Yann Lecoadic e Alessandro Scotto hanno allestito ogni singolo angolo, scala, stanza, dell’hotel. Una teoria di pezzi che richiamano lo stile del palazzo, omaggiano la cultura del vetro veneziana e hanno atmosfere dei primi del secolo scorso. Ecco: per accedere al ristorante (quando ho provato io la stupenda ex Sala ovale del Consiglio era ancora solo per le colazioni) si passa dal bar. Terzo punto fermo: uno dei più belli del mondo. Booze and books, il paradiso per i bibliofili assetati.

Il bar Biblioteca è spazio raccolto: pianoforte e libri, atmosfera calda e avvolgente, una lista di cocktail opportunamente calibrata sulle isole della laguna veneziana. Preparazioni, a cura di Diego Filippone, davvero interessanti, ma quello che mi ha stupito, e fatto anche un pochino di rabbia, è che i libri alle pareti non sono quelli a tanto al metro di luoghi simili. No: qui c’è una scelta precisa, e raffinatissima, frutto del lavoro di un libraio con tutti i crismi: e di qui lo stupore. E la rabbia? Beh, quando nella mia stanza pesco a scaffale (sì anche in stanza tanti libri) titoli che desidero e mi mancano, questo a un bibliofilo…, non fa bene. Mi sono consolato con il carrello bar: in alcune suite, a disposizione degli ospiti una vasta selezione di liquori e attrezzi per farsi in stanza il proprio mix. Chiedo il ghiaccio, preparo e trangugio il mio bravo Boulevardier. Ma poi riscendo al terzo piano e mi rifugio in Biblioteca, com’è giusto che sia. Sì: Venezia custodisce l’arte di bere bene in hotel che hanno qualcosa di magico.

Fonte: Il Sole 24 Ore