Al ponte sullo Stretto 1,6 miliardi da Calabria e Sicilia. Ma arriva il primo «No»

Il meccanismo è semplice: a dotazione invariata di oltre 11 miliardi, l’idea del governo per il Ponte sullo Stretto è di rimodulare le somme alleggerendo il peso sul bilancio dello Stato e recuperando denaro, circa 2,3 miliardi, dal Fondo di sviluppo e coesione. Ma la quota più imponente pesa sulle regioni del Sud interessate dall’opera: se l’emendamento passerà, saranno Sicilia e Calabria a versare il tributo più alto sottraendo 1,6 miliardi di euro ad altre destinazioni regionali nell’ambito del Fsc.

Il «No» della Sicilia

Le proteste non si sono fatte attendere. La più significativa arriva proprio dalla Sicilia con un «no» abbastanza polemico. «La Regione Siciliana ha sempre espresso totale disponibilità verso la realizzazione del Ponte sullo Stretto, opera che considera strategica, e per questo la giunta si era impegnata a destinare un miliardo di euro di risorse del Fes 2021-2027, dandone comunicazione al ministro Salvini. La decisione governativa per cui la quota di nostra compartecipazione debba essere di 1,3 miliardi non è mai stata condivisa dall’esecutivo regionale» ha affermato la regione in una nota diffusa dopo l’emendamento del governo. L’auspicio,prosegue la nota, è «che Salvini si possa attivare per restituire le maggiori risorse sottratte alla Sicilia, necessarie per sostenere investimenti per lo sviluppo dell’Isola».

Ma Salvini insiste

Critiche anche dall’opposizione, con Pd in testa che per bocca del capogruppo al Senato, Francesco Boccia parla di «ennesimo scippo ad un fondo che serve ad altro e che sta diventando la tasca di Pantalone di un governo che non sa che pesci prendere». Ma il ministro Salvini insiste: «Il Ponte ricade in Sicilia e Calabria, che ci sia una compartecipazione minima di queste regioni mi sembra ragionevole. Se ci mettono il 10% e lo Stato il 90% mi sembra giusto».

La vicenda

Ma facciamo un passo indietro. L’emendamento atteso da giorni e che alla fine ha sbloccato la partita in Parlamento prevede una rimodulazione degli stanziamenti per l’intero piano dell’opera, fino cioè al 2032 quando, nelle promesse di Salvini, si taglierà il nastro. La modifica snocciola la nuova ripartizione dell’articolo 56: e quindi le risorse per 11,630 miliardi restano invariate ma a carico del bilancio la spesa si riduce a 9,312 miliardi con la conferma dei 780 milioni per il 2024. In tutto si tratta di uno spostamento da 2,3 miliardi. La leva è il Fondo di sviluppo e coesione – la cui definizione 2021-2027 è cosa di questi giorni – e che elargirà 718 milioni levandoli all’amministrazione centrale. Più imponente la dote a carico sempre del Fondo ma a valere sui bilanci di Calabria e Sicilia che verseranno 1,6 miliardi. Per il 2024 si conferma la dotazione di 780 milioni, utile per iniziare i lavori del primo lotto dell’opera. Questa è la base di partenza nei piani del governo. Ma la speranza per il futuro è di trovare nuove forme di finanziamento considerando anche le casse non propriamente floride in cui versano i conti pubblici. Lo spiega la norma di funzionamento che assegna al ministero delle infrastrutture entro il mese di giugno di ogni anno, il compito di presentare al Cipess un’informativa sulle iniziative per il reperimento di ulteriori risorse. E nel caso in cui vengano scovate la corrispondente riduzione in via prioritaria dell’autorizzazione di spesa sul bilancio dello Stato.

Fonte: Il Sole 24 Ore