Bce, perché una pausa nella stretta può essere un errore

Falchi contro colombe. Sarà questo, ancora una volta, il copione della riunione di settembre della Banca centrale europea, con la presidente Christine Lagarde nel ruolo a lei particolarmente congeniale di mediatore tra due componenti la cui differenza in buona sostanza si sovrappone a quella tra i Paesi settentrionali e quelli meridionali dell’Unione monetaria. L’esito più probabile – ma non necessariamente il più auspicabile – potrebbe essere, secondo molti analisti, quello di una pausa, in chiave wait and see, in una stretta che non si è certo conclusa.

I custodi dell’ortodossia

Nei Paesi “colomba” è facile vedere i falchi come arcigni e spesso “teutonici” custodi di un’ortodossia un po’ astratta, dottrinale se non ideologica, insensibili alle necessità dei cittadini. Oggi, dopo le rivelazioni – non nuove – delle anomalie del bilancio tedesco, appaiono persino ammantati da un velo almeno di ipocrisia.
Si può però interpretare la loro posizione in modo del tutto opposto. La cura contro l’alta inflazione è dolorosa, più dolorosa della cura della recessione, perché è più lunga e impone comunque una fase di stagnazione se non di contrazione dell’attività economica. Il rischio per le banche centrali che non agiscono con sufficiente determinazione è inoltre quello di dar inizio a una lunga, penosa agonia dell’economia, in cui l’inflazione non scende abbastanza e la crescita langue. È davvero la posizione più prudente, quella delle colombe?

Inflazione ancora elevata

È molto probabile che la stretta debba continuare comunque. L’inflazione resta elevata, soprattutto nella componente core, che esclude energia e alimentari non trattati e si concentra sui prezzi gestibili con la politica monetaria. L’indice complessivo, ad agosto era in crescita del 5,3% annuo, in calo dal massimo del 10,6% di ottobre 2022, e quello “di fondo” del 6,2%, in discesa dal record del 7,5% di maggio 2023. Il tasso di riferimento Bce, al 4,25% è ancora negativo in termini reali rispetto all’inflazione corrente, anche se è positivo rispetto alle proiezioni – che tra l’altro saranno ora riviste – per l’inflazione media del 2024 (3%) e il 2025 (2,2%).

Condizioni finanziarie poco variate

Le condizioni finanziarie segnalano un sostanziale ritorno dei rendimenti nella parte breve della curva – che esprime e realizza la politica monetaria – ai livelli di giugno, dopo la flessione di luglio. A fine luglio 2008, in occasione del precedente picco dell’inflazione, la curva dei rendimenti era decisamente più elevata (anche se il confronto ha un valore puramente indicativo per la profonda differenza delle condizioni macroeconomiche). Il cambio effettivo dell’euro, per quanto molto meno significativo, è leggermente tornato sotto la media di lungo periodo, superata prima della pausa estiva: da luglio a oggi, l’euro/dollaro ha seguito un trend discendente con poche interruzioni. A questo livello, a monte della catena di trasmissione, la strette è ferma da tre mesi circa.

Costo del credito lontano dai massimi

Scendendo a valle della cinghia di trasmissione della politica monetaria, il rialzo del costo del credito appare decisamente molto rapido – si partiva da livelli molto bassi – ma, anche in questo caso, non si sono raggiunti i livelli del passato, quando l’inflazione era meno elevata e le pressioni meno persistenti di quello attuale.

Fonte: Il Sole 24 Ore