Arezzo torna capitale dell’agriturismo italiano con la ventitreesima edizione di AgrieTour, al via oggi 14 novembre con oltre cento tour operator presenti, provenienti da 22 Paesi e un’offerta turistica rurale…
Fonte: Il Sole 24 Ore
L’obiettivo è ambizioso: produrre verdura, frutta e pesce a basso impatto ambientale in ambienti urbani, come grandi edifici dismessi e mense scolastiche, grazie all’acquaponica. Ossia la tecnologia che integra acquacoltura e agricoltura fuori suolo (idroponica). È il progetto denominato Demetra, finanziato dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy con oltre 5 milioni di euro, che vede l’Enea collaborare con l’Università Federico II di Napoli, il consorzio Caisial e le aziende Fos che è capofila, l’Irci e e Grafica Metelliana.
Il programma prevede la realizzazione di due prototipi a basso costo, modulari e scalabili. Si tratta di una piattaforma industriale per la produzione su larga scala di alimenti freschi nelle cosiddette fattorie urbane e una piattaforma per usi domestici, più compatta e destinata a mense, ristoranti, condomini, o Rsa.
«Questo mini-impianti di comunità è pensato per fornire proteine animali e vegetali fresche e di qualità direttamente agli utenti e può essere utilizzato anche da ristoratori o agriturismi per promuovere una produzione a chilometro zero – sottolineano dall’Enea -. Entrambi i sistemi saranno realizzati su scala prototipale e dimostrativa e saranno testati nelle strutture dell’Irci Spa, partner industriale specializzato in impianti idroponici e acquaponici». Ridotta, invece, la versione domestica
La sperimentazione che riguarda la coltivazione dovrebbe partire con il peperoncino. «Una pianta semplice da gestire, resistente alle malattie e le cui fibre possono essere impiegate nella produzione di biopackaging alimentare – sottolinea Salvatore Dimatteo, ricercatore del Laboratorio di Bioeconomia circolare rigenerativa-, che servirà al confezionamento e alla vendita degli alimenti prodotti nell’impianto. Per quanto riguarda la specie ittica l’attenzione è concentrata sull’anguilla come possibile candidato, per la sua elevata capacità di adattamento. Inoltre, sensori Iot saranno utilizzati per «garantire il benessere delle specie animali».
«L’impianto funzionerà secondo il principio della circolarità, a zero scarti, per cui le deiezioni dei pesci in allevamento diventeranno i nutrienti fondamentali per la crescita dei vegetali – argomentano all’Enea -. In questo sistema, elementi come l’azoto e il fosforo, derivanti sia dalle escrezioni e deiezioni dei pesci sia dalla decomposizione del mangime non ingerito, saranno depurati grazie a un biofiltro in cui sono presenti colonie batteriche che avvieranno il processo di nitrificazione che porterà alla formazione di nitrati, poi assimilati dalle piante».
Fonte: Il Sole 24 Ore
“Varvello – L’Aceto Reale” è una pmi da 18 milioni di euro di fatturato che produce aceto (di vino, di mele, di riso e glasse balsamiche). Si trova a La Loggia, paese di nemmeno novemila abitanti a Sud di Torino. Un’area periferica non cablata. «Per noi la connessione veloce è fondamentale – dice Davide Varvello, amministratore delegato dell’azienda -. Non solo per operare in tutto il mondo: questione dirimente, dato che esportiamo il 70% della nostra produzione. Abbiamo la necessità di far funzionare tutti i nostri macchinari, connessi alla rete, da remoto. L’unica soluzione era un’antenna wireless».
In un’Italia dove tante zone del territorio non sono ancora raggiunte dalla fibra ottica, questa impresa è solo una tra le tante del settore food che, situate in aree rurali o di montagna, hanno scommesso su nuove tecnologie, per garantirsi prospettive di sviluppo. Tecnologie come Fixed wireless access che copre i territori garantendo la stessa velocità e stabilità della banda ultra larga. E permette con un ponte radio di coprire 70 chilometri in linea d’area. Gli effetti li spiega Simone Bigotti, amministratore delegato di BBBell operatore multiregionale di Torino che tra Piemonte e Liguria dispone di 850 postazioni e serve 11mila aziende, delle quali circa il 20% operano nel settore alimentare.
«La tecnologia – dice Bigotti – è difficilmente applicabile nei grandi centri urbani, perché ci sono ostacoli costituiti da grandi edifici. Si presta invece, dal piccolo esercizio commerciale alla grande azienda, per coprire tutti i piccoli agglomerati non cablati. E dove ci sono due tecnologie possono essere abbinate in modo che l’una faccia da back up all’altra». Possibilità che esiste da quando, nel 2005, con il cosiddetto decreto Landolfi è stato liberalizzato il mercato per ampliare la possibilità di connettersi alla rete. Con la corsa alla digitalizzazione, anche per tante piccole imprese del food collocate in aree periferiche, la connessione veloce (e stabile) è diventata indispensabile.
Lo è ad esempio per Cantine Coppo, storica azienda vinicola (è nata nel 1892) di Canelli, in provincia di Asti. Una cittadina dove, come spiega Rossano Savoia, amministratore delegato, il cablaggio non è sufficiente a rispondere a tutte le necessità operative. Anche questa piccola impresa (30 dipendenti, ricavi per 6,5 milioni di euro, una produzione di 500 mila bottiglie all’anno) ha ripiegato sull’antenna per garantirsi la connessione alla rete. «Per noi potenza e stabilità fanno davvero la differenza: esportiamo il 70% della produzione, dobbiamo sempre inviare una grande mole di dati, fare webinar e video call per ampliare il nostro mercato – dice Savoia -. Adesso abbiamo rafforzato la nostra operatività, dotandoci anche di un centralino virtuale via cloud che ci consente di raggiungere tutti come se fossero presenti in azienda».
Gli stessi problemi li aveva riscontrati Paolo Boeri, ai vertici di Olio Roi, azienda familiare di Badalucco, in provincia di Imperia, con 25 dipendenti e un fatturato di 7,5 milioni. Badalucco, 1.100 abitanti, è in montagna, nella Valle Argentina. Questa piccola impresa, che produce principalmente olio extravergine di oliva, esporta in 60 Paesi del mondo. «La connessione veloce era per noi imprescindibile – racconta Boeri – e ci ha dato una forte spinta».
Fonte: Il Sole 24 Ore
Sempre retailing ma anche sempre più ristorazione. Anche in franchising. Il Gruppo Finiper Canova, uno dei big della Gdo in Italia con le insegne Iper La grande i e Unes (22 ipermercati e 206 supermercati), punta con decisione sui consumi fuoricasa in (quasi) tutte le loro declinazioni: dalle gelaterie ai bar, dai ristoranti casual dining allo street food. Oggi nel menu ristorazione del gruppo, di cui si occupa la società Iper Montebello Spa (1,7 miliardi di euro di fatturato), ci sono quattro insegne (Rom’Antica, Ristò, CremAmore e Portello Caffè) con 109 locali presenti in cinque regioni, che danno lavoro a 1.200 addetti e fatturano 87 milioni di euro. E altre aperture sono previste entro fine anno, come Ristò a Savignano al Rubicone, Rom’antica a Rimini e il decimo ristorante Iper presso il centro commerciale di Montebello della Battaglia.
Come Il Sole 24 Ore è in grado di anticipare, se oggi la ristorazione pesa l’8,5% sui ricavi dell’azienda l’obiettivo è di arrivare al 12% entro il 2027. «Però per noi la ristorazione in tutte le sue declinazioni ha più valore in termini di servizio e di immagine che di ricavi» sottolinea Gianluca Grassi, direttore comunicazione del Gruppo Finiper Canova.
L’insegna di punta è Rom’antica, che propone ogni giorno 30 varianti di pizza in teglia alla romana, venduta a peso, e che chiuderà il 2025 con 36 milioni di euro di incassi. A fine anno i punti vendita saranno 60, per il 40% nei centri città. Ma il gruppo vuole portarli a cento entro tre anni anche aprendo al franchising, attraverso la nuova business unit dedicata a questa formula commerciale già adottata per oltre un terzo dei supermercati Unes e che ora viene estesa anche alla ristorazione, con l’obiettivo dichiarato di decuplicare il valore attuale del franchising, entrando più facilmente in nuove aree geografiche, Roma compresa.
Una svolta importante per il gruppo, fondato nel 1974 (e tuttora controllato e guidato) da Marco Brunelli, che finora nella ristorazione ha sempre investito sui format di proprietà, di cui è stato un pioniere tra gli imprenditori della Gdo italiana. Gli Iper sono stati, infatti, i primi punti vendita della grande distribuzione a essere dotati di spazi dove poter scegliere e consumare le preparazioni gastronomiche e le ricette realizzate nei laboratori interni, spesso direttamente sotto gli occhi dei clienti. Di ristorazione il gruppo si è occupato sin dal 1982 e dal 2012 ha sviluppato i primi ristoranti inseriti all’interno delle gallerie commerciali, con l’apertura della braceria Musi Lunghi nell’Iper di Lonato. Da allora le aperture, i restyling e i rinnovi dei punti di ristorazione sono stati incessanti. Lo dimostra il recente riposizionamento di Ristò, storica insegna della ristorazione a libero servizio all’interno dei centri commerciali, che ora si propone in una veste più gourmet per offrire una migliore food experience, con il free flow ridotto a favore del servizio al tavolo e gli ambienti riprogettati dallo studio Amdl Circle del celebre architetto Michele De Lucchi. E poi ci sono le partnership importanti, come la gestione della ristorazione di Casa Milan.
Tra le ultime novità c’è lo sviluppo di Giannasi, lo storico chiosco milanese di gastronomia (4mila polli arrosti venduti a settimana) di cui il Gruppo Finiper Canova ha rilevato la maggioranza a fine 2024 sostenendo un piano di sviluppo che l’ha già fatto entrare in due mercati coperti urbani di recente ristrutturazione (Isola e Rombon). E poi c’è lo street food: sono undici i food truck “targati Iper 1974” che non solo stazionano fuori dalle sei gallerie commerciali del gruppo ma che presidiano anche importanti eventi in tutto il Centro-Nord Italia (dalle tattoo convention alle esibizioni delle Frecce Tricolori), gestendone in esclusiva tutto il servizio di food&beverage.
Fonte: Il Sole 24 Ore
Prima la tavola, poi l’arte e i monumenti. Che ad attrarre i turisti stranieri in Italia siano il patrimonio culturale ed enogastronomico non c’erano dubbi, ma può stupire quali siano le priorità. Almeno secondo quanto rivelato dalla nuova edizione del Rapporto sul turismo enogastronomico italiano curato da Roberta Garibaldi, secondo cui l’Italia viene principalmente associata al gusto e all’enogastronomia: dal 55% dei tedeschi e degli svizzeri e austriaci e dal 54% degli statunitensi, mentre solo tra i francesi prevalgono i monumenti storici (50%).
Il rapporto, presentato al Bto – Be Travel Onlife di Firenze, con il sostegno di Visit Emilia e di Valdichina Living analizza i sei mercati esteri più importanti per l’Italia in questo settore – Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Austria, Svizzera e Francia – e permette di comprendere non solo l’interesse verso il turismo enogastronomico, ma anche le aspettative e le esperienze vissute dai turisti stranieri in Italia.
«Capire come ci vedono e come ci vivono è il primo passo per governare il cambiamento – commenta la curatrice Garibaldi, presidente dell’Associazione italiana turismo enogastronomico (Aite) e docente all’Università di Bergamo – in un settore che continua a crescere a ritmi sostenuti, affermandosi come uno dei segmenti più dinamici dell’economia turistica globale».
Negli ultimi tre anni, tra viaggi domestici ed internazionali, la quota di turisti che ha viaggiato per l’enogastronomia varia dal 60% in Regno Unito al 74% in Francia, con un aumento dal 2016 tra i 15 a 28 punti percentuali. E l’Italia è associata principalmente, come destinazione del viaggio, a “cibo e vino”, citati dal 55% dei tedeschi e degli svizzeri/austriaci e dal 54% degli statunitensi; solo tra i francesi che scelgono l’Italia prevalgono i monumenti storici (50%).
Nella scelta della destinazione, contano soprattutto la bellezza del paesaggio rurale (oltre l’80% in tutti i mercati, con un massimo dell’88% in Francia) e la presenza di ristoranti locali (81% in Francia, 79% negli Usa). Inparticolare gli americani attribuiscono più valore a esperienze tematiche (69%) e ristoranti gourmet (59%).
Le principali motivazioni per scoprire l’enogastronomia sono provare nuove esperienze (52% in Uk e Usa) e arricchire il proprio bagaglio culturale (34% in Francia). I francesi si distinguono per vedere l’enogastronomia come occasione per concedersi un lusso (36%), mentre tedeschi e svizzeri/austriaci per immergersi nei paesaggi rurali.
Fonte: Il Sole 24 Ore
Continua a espandersi il mercato italiano del “lactose free”, che nella distribuzione moderna incassa oltre 2,4 miliardi di euro e mette a segno una crescita annua del 4,9% contro il 3% della media del mercato alimentare (fonte Niq). I prodotti senza lattosio sono acquistati dall’81% delle famiglie e in un caso su tre chi li sceglie non ha un’intolleranza al lattosio accertata.
La parte del leone la fa il lattiero-caseario: latte, yogurt, latticini e formaggi sviluppano tre quarti degli incassi e, soprattutto, contribuiscono per il 60% alla crescita delle vendite. A beneficiare di questo trend sono soprattutto le aziende che hanno puntato con decisione su questo mercato. Come la trevigiana Nonno Nanni, nata nel 1947 e con 160 milioni di euro di fatturato consolidato (e 21 milioni di euro di ebitda). Il gruppo della famiglia Lazzarin vuole diventare il brand di riferimento nel lactose free. E non solo nei formaggi freschi, dov’è già leader nelle robiole e dove ha appena lanciato lo stracchino, ma anche nella pasta fresca.
Da pochi giorni i formaggi delattosati Nonno Nanni “firmano” anche i ripieni della nuova linea di Nonna Rina, altro gioiellino del gruppo. Si tratta di un marchio storico che, dopo il rebranding nel 2021 e l’introduzione di paste lisce e paste ripiene, oggi fattura 6 milioni di euro e vive crescite annue a doppia cifra. «Quello tra Nonno Nanni e Nonna Rina non è un semplice co-branding, ma un progetto che sfrutta le sinergie industriali, commerciali e distributive» sottolinea l’amministratore delegato, Silvia Lazzarin, una degli otto nipoti del fondatore che lavorano in azienda.
Il business della pasta fresca sta performando molto bene e il gruppo vuole cavalcare il successo anche attraverso il lancio di nuove ricette e abbinamenti sorprendenti, aprendo dunque un nuovo capitolo nel percorso di crescita del gruppo, finora focalizzato sul lattiero-caseario, a cui si deve il 92,5% del fatturato. Il brand di punta è Nonno Nanni, che in dieci anni è passato al 28% al 39% di conoscenza spontanea e che è il top of mind per il 14% dei consumatori (contro il 5% del 2015). Il marchio, scelto in ricordo del fondatore Giovanni Lazzarin, propone una trentina di formaggi freschi, con cui nel 2024 ha registrato oltre 134 milioni di euro di ricavi, e continua a crescere a tassi superiori a quelli del mercato (+10% a volume e +6% a valore). A trainarlo sono le performance della robiola, dello Squaquerello e soprattutto dello Stracchino, il prodotto più importante nonché il leader del mercato con il 19,5% di quota a volume.
Negli ultimi tre anni il Gruppo ha investito 15 milioni di euro destinati ai reparti produttivi e all’avvio di nuove linee per ampliare la gamma dei prodotti, soprattutto nei formaggi a pasta filata. «La domanda di mozzarella, burrata e stracciatella è in forte aumento e noi vogliamo soddisfarla, mantenendo sempre elevatissimi i nostri standard qualitativi» sottolinea Lazzarin. Altri 5 milioni di euro sono stati destinati a sostenere la crescita dell’altra azienda del gruppo, il caseificio Tonon (25 milioni di euro di ricavi), specializzato nella mozzarella per pizza destinata al canale professionale.
Fonte: Il Sole 24 Ore
È dal 2014 che Grisbì ha adottato la formula delle limited edition: in undici anni ne ha lanciate una ventina e, rispetto al debutto, le quantità di ognuna si sono decuplicate. Un paio sono state così apprezzate da diventare continuative, come la variante al pistacchio, che ha ottenuto il record assoluto di vendite e perdipiù in luglio, un mese tradizionalmente piatto per il mercato dei biscotti.
«È iniziato tutto come esperimento – spiega Elena Personi, marketing manager di Vicenzi – Abbiamo proposto una versione estiva, al cioccolato e menta, con cui abbiamo invitato i consumatori a provare un gusto nuovo e da apprezzare fresco da frigo e convinto i buyer a inserire una referenza disponibile in quantità limitata e per un arco di tempo definito». Un test riuscito, che ha permesso di superare i limiti di un’offerta monoprodotto, ampliando la stagione di consumo, avvicinando nuovi acquirenti e facendo di Grisbì un’icona dell’innovazione. E se il brand continua ad aumentare la sua quota di mercato (26% a volume, +2,6 punti nel 2025) è anche grazie anche al supporto delle limited edition.
Infatti ogni anno, dall’analisi dei macrotrend nel mondo alimentare e dal “fiuto” dei team di R&S e di marketing, nascono due nuove varianti a tiratura limitata. Non si tratta solo di ingolosire con nuovi flavour, quanto di offrire un’esperienza e un concept, come la versione agli agrumi chiamata Dolce Vita. Partita con gusti “proprietari”, sviluppati in azienda, Vicenzi è poi arrivata anche a creare nuove varianti insieme a brand che condividono i suoi valori, come Baci Perugina, Baileys e Müller. Dalle ricerche condotte dall’azienda emerge che le limited edition avvicinano nuovi consumatori a entrambi i partner e in questo hanno un maggior valore aggiunto rispetto alle semplici extension line.
L’esperienza con Grisbì ha convinto Vicenzi a introdurre questa formula anche su Matilde Vicenzi, la marca storica dell’azienda che nel 2025 festeggia i 120 anni di attività. Un brand leader (26% di quota) nei savoiardi, un ingrediente molto usato ma anche ridotto spesso a commodity, dove innovare è difficile anche per la forte concorrenza delle private label. L’azienda veronese ha scommesso su Vicenzovo Pink, un savoiardo aromatizzato alla fragola, perfetto sia come biscotto sia per velocizzare la preparazione dei tiramisù estivi, e che ha performato molto bene persino in Autogrill. «Questo prodotto ci ha confermato l’efficacia delle limited edition nel dimostrare la capacità dei nostri brand di fare innovazione e di movimentare uno scaffale molto affollato, dove ci troviamo a competere con grandi gruppi internazionali ma con ottimi risultati» sottolinea Personi.
Terzo player di marca nella pasticceria industriale, il Gruppo Vicenzi ha chiuso il 2024 con un fatturato consolidato di 167 milioni di euro, quest’anno sta crescendo più del mercato su tutti i brand, in particolare su Mr Day (+11,4%), Matilde Vicenzi (+10,3%) e Grisbi (+8,5%) e ha annunciato 20 milioni di euro di investimenti industriali nel triennio 2025-2027.
Fonte: Il Sole 24 Ore
Contribuire alla trasformazione del settore agroalimentare con soluzioni innovative. È l’obiettivo di Good Food Makers, il programma di Barilla, che nel 2024 ha investito 50 milioni di euro in Ricerca e Sviluppo e che questa mattina ha annunciato le tre aziende vincitrici della settima edizione, selezionate tra 33 finaliste da tutto il mondo.
Sono la tedesca Feldklasse, per la categoria AgTech for Climate Resilience, ha sviluppato in collaborazione con Open Fields una soluzione meccanica per la rimozione automatizzata delle erbe spontanee nei campi di basilico.
L’italiana Xnext ha invece inventato una tecnologia in grado di individuare le anomali nei prodotti alimentari invisibili ai sistemi tradizionali.
Vusion Group (Italia e Francia), per la categoria Best on Shelf, propone in collaborazione con Conad Nord Ovest Captana, un sistema di monitoraggio basato su telecamere e intelligenza artificiale per ottimizzare la disponibilità dei prodotti e migliorare l’esperienza di acquisto in negozio.
«Good Food Makers è un catalizzatore di scoperte e collaborazioni. Ogni anno selezioniamo sfide concrete che ci permettono di esplorare tecnologie e modelli emergenti, accelerando l’adozione delle soluzioni più promettenti – spiega Claudia Berti, head of open innovation di Barilla -. Allo stesso tempo, promuoviamo una cultura più aperta e collaborativa, capace di trasformare il modo in cui affrontiamo l’innovazione e influenzare positivamente le attività quotidiane dei nostri team e oggi anche portare un beneficio diretto ai nostri partner ed un esempio per la filiera. In questa edizione abbiamo individuato soluzioni capaci di generare un impatto reale su tre temi cruciali: la sostenibilità delle pratiche di coltivazione, la sicurezza alimentare e l’esperienza d’acquisto».
Fonte: Il Sole 24 Ore
Fratelli Beretta punta a rafforzare il mercato della bresaola creando BFood delle valli srl, un nuovo polo produttivo che riunisce i due brand Del Zoppo e Panzeri
Con oltre 100 milioni di euro di fatturato complessivo, due stabilimenti di produzione e due di affettamento per un totale di 13 linee produttive, nasce quindi una realtà industriale che integra due marchi storici dell’eccellenza produttiva della bresaola della Valtellina e della Valchiavenna.
Socio di maggioranza di entrambe le realtà, Fratelli Beretta ha promosso questa integrazione per «creare sinergie industriali e di ricerca, innovazione e sviluppo in un mercato tradizionalmente poco incline alla diversificazione e che mostrava da qualche tempo segnali di flessione».
L’operazione, attiva da inizio 2026, prevede investimenti per 3 milioni in due anni in nuove tecnologie, linee produttive, software di gestione con l’obiettivo di innovare la bresaola, rendendola più versatile e adatta alla nuove tendenze di consumo, in un periodo congiunturale non facile per questo salume.
«È stato infatti da tempo intrapreso, con successo, un lavoro di ricerca e sviluppo per riproporre la qualità e il sapore della bresaola secondo modalità di consumo più attuali e accattivanti – spiegano dall’azienda – lanciando sul mercato prodotti quali la bresaola alla julienne per arricchire le insalate o i Rolls con il formaggio adatto per snack ed aperitivi».
Fonte: Il Sole 24 Ore
Rosso brillante, compatta al tatto, croccante, quel giusto equilibrio tra zuccheri e acidità che la rende particolarmente gradevole e persistente al palato: pochi “falsi frutti” (così sono definite le fragole) possono vantare la stessa riconoscibilità della Fragola della Basilicata Igp.
Peculiarità che le è valso il riconoscimento di Indicazione Geografica Protetta, grazie al lavoro del comitato promotore costituito dalle Organizzazioni di produttori lucane, tra cui Aop Arcadia, Op Terre della Luce, Op Agorà, Op Athena, Op Primosole, Op Ancona e Apofruit.
Un passaggio necessario per l’oro rosso della costa ionica, propedeutico al consolidamento della competitività sul mercato nazionale e internazionale, oltre che al rafforzamento del cosiddetto turismo esperienziale legato all’agricoltura.
La “regina delle primizie” – che vale il 22% del Pil agricolo regionale e vanta un valore commerciale di circa 100 milioni di euro, per circa 12mila addetti, su più di mille ettari di superficie – è un esempio vivido di quanto possa fare la ricerca applicata all’ortofrutta.
Già negli anni Cinquanta si era scoperto quanto i terreni sabbiosi e ben drenati del Metaponto (tra i comuni di Policoro, Scanzano Jonico, Bernalda e Nova Siri) costituissero un’area ideale per la coltivazione delle fragole, tanto da meritare all’area – erano ormai gli anni Settanta – l’appellativo di California del Sud, ma l’invasione delle concorrenti spagnole negli anni Ottanta ha gettato il comparto nella crisi.
Fonte: Il Sole 24 Ore