Come dare in dote 10mila euro ai giovani senza toccare la tassa di successione

La ricetta dell’alfabetizzazione finanziaria

Conoscenza, competenza e abilità sono i cosiddetti tre pilastri dell’alfabetizzazione finanziaria, disciplina poco praticata dagli italiani, visto che solo il 37% è stato in grado di rispondere correttamente in occasione del sondaggio Internazionale Ocse Gallup sull’alfabetizzazione di 148 Paesi al mondo (siamo arrivati 63esimi, ultimi in Europa e penultimi nei Paesi Ocse davanti solo alla Colombia). Come passare dalla teoria alla pratica? O, per usare la terminologia Ocse, dalla conoscenza all’abilità? Il Comitato Nazionale per l’educazione finanziaria ha messo in campo numerose occasioni per innalzare il livello davvero inadeguato degli italiani. Formazione, esempi, consuetudine, informazione sono tutti canali che permettono al risparmiatore italiano di gestire correttamente il proprio denaro e di essere meno passivo rispetto ai luoghi comuni sedimentati nei decenni passati, quando i titoli di Stato offrivano tassi di rendimento cospicui e il mattone cresceva di valore continuamente.

E quindi che cosa fare?

Queste “certezze”si sono dissolte come neve al sole e per mettere a frutto il proprio denaro occorre considerare tre principi: l’ostacolo dell’inflazione, che erode il valore reale del nostro denaro, la necessità di diversificare a dovere il nostro portafoglio e, infine, l’impatto prodotto su un capitale del tasso di interesse semplice o composto. Perchè l’educazione finanziaria non significa essere esperti, ma avere cognizione di base, conoscere i propri limiti e chiedere in caso aiuto a chi ne sa più di noi.

Per esempio, non è necessario essere esperti per investire sui mercati: è possibile definire (magari con l’aiuto di un professionista o di un esperto) una strategia che preveda l’acquisto periodico di quote di strumenti di risparmio gestito. Il che ha il vantaggio dell’automaticità decisionale – non devo decidere ogni mese o ogni anno in cosa investire – e dell’automaticità finanziaria: se il valore quota dello strumento prescelto sale con lo stesso ammontare di denaro acquisterò meno quote, se cala ne acquisterò di più.

L’ingrediente segreto

Come in tutte le buone ricette che si rispettano c’è un ingrediente segreto, poco apparente ma decisivo: se applico un tasso a un capitale in un’unica soluzione si ottiene un risultato che è la somma di due fattori; se invece applico un tasso non solo al capitale ma anche alla somma ottenuta in precedenza di capitale più interesse, creo un “interesse composto”. Tale meraviglia matematica (a detta di Einstein) sfugge all’immediata intuizione umana (tranquilli: accadeva anche prima dei social, del digitale e della televisione), ma basta un minimo di attenzione per capire che i tassi composti hanno un effetto sul capitale iniziale ben superiore dei tassi semplici. Ad esempio: i nostri 6.068 euro dopo 18 anni diventano 11.468,88, applicando un tasso composto del 3,6%, invece che 10mila a un tasso semplice.

Ossia 1.468,88 euro in più del risultato prodotto con il tasso semplice. E visto che, come abbiamo capito prima, i fattori sono tutti in funzione tra loro, possiamo anche calcolare la cifra iniziale per ottenere 10mila euro a un tasso composto del 3,6%, invece che a un tasso semplice: 5.291 euro. Una differenza rilevante che potrebbe spingere un policy maker a decidere di ottenere lo stesso risultato in termini di bonus ai giovani ma stanziando risorse molto meno cospicue. Si potrebbe ad esempio utilizzare un BTp trentennale, collocato dal Tesoro di recente al tasso dell’1,75%. Il capitale cui applicare il tasso semplice per ottenere i nostri 10mila euro ammonta a 7.605 euro.

Fonte: Il Sole 24 Ore