Come eliminare le dinamiche nocive in azienda per creare organizzazioni di successo

Il termine “new normal”, salito alla ribalta nei primi mesi successivi all’emergenza pandemica, è andato presto (e forse erroneamente) in disuso. I cambiamenti che hanno investito la società, il business e il mondo del lavoro negli ultimi anni, anche grazie all’accelerazione del processo di adozione delle tecnologie digitali, sono stati profondi e rilevanti. E, proprio per la loro portata, in diversi casi non sono stati adeguatamente accompagnati da una riflessione approfondita su come far convivere le nuove esigenze delle persone che operano in azienda e la rincorsa al successo dell’azienda stessa. Ce lo dice una nuova ricerca a firma di Asterys, colosso mondiale nel campo dello sviluppo organizzativo, che ha indagato lo stato del benessere delle persone e il rapporto tra i modelli esistenti e le nuove esigenze dei lavoratori italiani alla luce dei cambiamenti di cui sopra, analizzando la presenza di dinamiche potenzialmente disfunzionali e i fattori che contribuiscono in modo predominante alla scelta di cambiare lavoro.

Lavoratori in affanno

La percentuale che subito balza all’occhio dello studio, che ha coinvolto 600 fra dipendenti e manager nazionali, è la seguente: 81%. Tanti sono i lavoratori che affermano di subire conseguenze e squilibri importanti sul proprio stato psico-fisico (tra cui nervosismo, infelicità e stato di stress prolungati) e sul proprio rendimento professionale (inefficienza, improduttività e calo delle performance) a causa delle dinamiche nocive della propria azienda. Solo il 47% del campione intervistato, inoltre, afferma di avere garanzia di pari opportunità per esprimere il proprio potenziale. Quella che emerge, come si legge nella nota che accompagna la ricerca, che il Sole 24Ore ha potuto visionare in anteprima, è quindi una situazione critica, che rimarca l’urgenza di trasformazione verso modelli maggiormente centrati sulla persona, agili e pronti ad affrontare le sfide attuali e quelle future. Le conseguenze, per quelle organizzazioni che stanno ignorando e ignoreranno questa possibile evoluzione, sono significative e riflettono il rischio di rimanere imprigionate in pratiche obsolete e di mettere a repentaglio competitività e benessere dei dipendenti. Per evitare questo rischio, ed è questo il suggerimento che arriva dagli esperti di Asterys, serve un nuovo approccio, in grado di trasformare le strutture di potere e la mentalità delle persone all’interno delle organizzazioni e garantire nel lungo periodo un ambiente più sano, sostenibile e (al contempo) di successo.

Smart working, un’opportunità colta solo a metà

Il pensiero che lo smart working, in Italia, sia un’opportunità colta a metà e che l’obbligo di tornare in ufficio abbia impattato in qualche modo sul benessere dei lavoratori traspare anche dalle parole di Giovanna D’Alessio e Stefano Petti, partner di Asterys e co-autori dello studio. «La nostra indagine ci dice che al 53% dei dipendenti di aziende con oltre 50 dipendenti viene data la scelta del proprio luogo di lavoro, e il dato è allineato a quello dell’Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano. Ma quello che le indagini non dicono specificatamente – osserva in proposito D’Alessio – è quante aziende permettono di operare da remoto mantenendo la stessa organizzazione del lavoro, le stesse procedure e lo stesso monitoraggio della performance e quante invece hanno abbracciato un nuovo paradigma lavorativo che rende il lavoro da casa veramente intelligente, attraverso tecnologie che abilitano la condivisione delle informazioni, una gestione per risultati e non per obiettivi e una nuova relazione tra management e dipendente basata sulla piena autonomia di quest’ultimo».

L’obbligo del lavoro in presenza, anche se pochi giorni alla settimana, non va sottovalutato perché non va ad alimentare quella motivazione che la libertà di scelta di dove svolgere la propria professione concede invece alle persone: il problema fondamentale, insomma, sta nella rigidità di voler controllare quando una persona deve stare in ufficio oppure lavorare da remoto. Per cogliere appieno i vantaggi dello smart working, sottolinea Petti, «occorre andare oltre la semplice alternanza e ripensare in modo più ampio la relazione tra l’azienda e le persone che la compongono, adottando una cultura di auto-organizzazione che aiuti i team a trovare un equilibrio tra presenza fisica e attività a distanza in base alle necessità dei progetti e alle preferenze individuali, puntando su una trasformazione culturale che valorizzi la responsabilità e il supporto reciproco, creando un ambiente dove ognuno possa gestire efficacemente il proprio lavoro».

Troppa gerarchia…

Se mettere al centro il benessere e lo sviluppo personale dei propri dipendenti, favorendo un ambiente lavorativo veramente innovativo e sostenibile, è la strada da seguire, il profilo delle aziende italiane fotografato dalla ricerca ci dice invece che la struttura tipica più diffusa attualmente (riguarda il 71% delle risposte) è quella tradizionale gerarchica, in cui le decisioni chiave sono prese al vertice e le decisioni operative dai line manager, che hanno anche un ruolo di controllo nei confronti dei loro riporti.

Fonte: Il Sole 24 Ore