Da Dior a Schiaparelli il ritorno di preziosismi tattili per abiti-manifesto

Ricami bulbosi come infiorescenze d’oro e pietre, passamanerie nodose come vegetazioni mutanti, fondoschiena metallici e incorruttibili, ma anche intrecci densi e presenti di tweed e accumuli di pieghe, drappeggi o sequenze frementi di balze: la tornata dell’alta moda parigina si è aperta oggi all’insegna del tocco e del tatto, a lungo negati da distanziamento e format digitali. Le sfilate sono per lo più in presenza, e questo non vuol certo dire che siano possibili allungate di mano in passerella per apprezzare cotanta tridimensionalità. Però è chiaro il movimento di allontanamento dal piattume virtuale in favore di qualcosa di più profondo e volumetrico. L’aggettivo del momento è aptico, ovvero tattile.

Dior, tessere e ricamare come essenza del vestire

Per Maria Grazia Chiuri, da Dior, tutto riparte dalla materialità del tessuto, come si conviene in generale a chi fa moda e non concetti, e nello specifico a una maison fondata in origine sull’accordo tra un creatore, Christian Dior, e un imprenditore tessile, Marcel Boussac. Chiuri, però, affronta la questione da un altro angolo, con un pragmatismo femminile che è la sua sigla inconfondibile e con un pensiero pieno empatia per quei fornitori che sono un anello essenziale della catena alimentare della moda, e che sono stati duramente colpiti dalla pandemia.

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Nel tessere e nel ricamare, azioni manuali che si tramandano dalla notte dei tempi, Chiuri vede la ragione d’essere del costruire vestiti. Unisce così il senso francese del disegno architettonico al gusto italiano per la manifattura, e gioca sull’equilibrio tra pesante e leggero per creare silhouette voluttuose dal peso specifico elevato – in senso letterale. Del tutto aliena all’escapismo festoso e compiaciutamente sciocchino che aleggia altrove, Chiuri sembra piuttosto presa in una riflessione dolente. La collezione, presentata sullo sfondo del colossale ricamo Chambre de Soie di Eva Jospin, è di una sobrietà severa e malinconica che le scarpe piatte e i tessuti pesanti rendono a tratti greve, finanche plumbea. Sul finale tutto evapora in nuvole di mussola e petali, ma il messaggio è serio: la moda deve ripartire dal fare, e il fare deve ripartire dal tessuto. Punto.

Valli e il «gusto del losco»

La moda invece vuole ripartire dal festeggiare e dal folleggiare, questo è chiaro. Giambattista Valli immagina una storia fantastica che è un inno alla leggerezza ritrovata, e la popola di donne fiorite con i capelli annodati e gli strascichi flottanti e uomini con il mantello e il doppiopetto, come Udo Kier in Dracula di Paul Morrissey. Orgoglioso di non aver licenziato un solo impiegato nonostante il momento complesso, il couturier romano parla ammiccante di “gusto del losco”. Il suo, però, è un losco sensuale, non criminale: una visione personale, distorta come i campi lunghi e i grandangoli del video di presentazione, nella quale la grandeur non esclude il divertimento scatenato, l’edonismo da bassifondi, e l’eleganza è uno stato della mente più che una condizione di alterigia. Insomma, con una nuvola di tulle, per Valli, ci si può anche sfare nel club underground, e il messaggio convince.

Il massimalismo di Roseberry per Schiaparelli

Il seno, riprodotto in metallo come in una scultura indossabile di Lalanne, è protagonista, insieme a ricami da piviale, bijoux compositi e forme scultoree che oscillano tra Lacroix e Gaultier, da Schiaparelli, dove Daniel Roseberry molla gli ormeggi e abbraccia una vena sfrenatamente massimalista e decisamente nostalgica, producendo un pastiche postmoderno le cui fonti sono evidenti almeno quanto è evidente l’interpretazione personale. Fumettistico e gigantizzato, il lessico surreale di Roseberry per la storica maison può piacere o meno, ma è di certo unico e inconfondibile, il che di questi tempi è una conquista.

Fonte: Il Sole 24 Ore