Deserti, mari, metropoli: il Cile estremo di Neruda

La sua scomparsa, il 23 settembre del 1973, è sempre stata un mistero: Pablo Neruda fu vittima di un cancro o lo assassinò la polizia segreta del dittatore Augusto Pinochet, fortemente avversato dal poeta cileno e che conquistò il potere con un golpe appena 12 giorni prima della sua morte, destituendo il presidente eletto, il comunista e amico Salvador Allende? Cinquant’anni dopo, lo scorso gennaio un nuovo gruppo di esperti, il terzo dal 2013, è stato convocato dalla Corte Suprema Cilena per far luce sulla vera causa della morte del poeta.

Dalle Ande al deserto di Atacama

Mezzo secolo dopo, il Paese sudamericano che diede i natali a Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto – vero nome del Premio Nobel per la letteratura del 1971 – è profondamente cambiato, ma l’amore per Neruda è rimasto inalterato ed emerge nei luoghi a lui cari, per i quali provò un incanto lirico, mai sopito nei suoi versi, dai quali trasudava il suo amore per la naturaleza del Cile, dove anelava tornare dopo gli anni dei suoi molteplici esili. Definito da Neruda «una magra eccentricità in capo al mondo», attraversato dalla Cordigliera delle Ande sino a sfociare nella Patagonia e nella Terra del Fuoco, il Cile si allunga per 4.200 chilometri, a dispetto di una larghezza di appena 445 km all’altezza dello stretto di Magellano, e vanta una varietà eccezionali di geografie e climi: il deserto di Atacama è il luogo meno piovoso al mondo, le aree naturali protette sono più di un centinaio (El Parque Nacional Patagonia è uno degli ultimi a essere stato riconosciuto, nel 2018, e la Cajón del Maipo a meno di 50 km dalla capitale Santiago, è un canyon in cui il fiume scende a velocità impetuosa dalla Cordigliera); la superficie occupata dai ghiacciai raggiunge i 20mila chilometri quadrati; spettacolare è l’on the road della Ruta de los Parques, tra 17 parchi nazionali , 60 comunità indigene, puma e guanachi. Neruda era attratto da questo paesaggio selvaggio – nel poema “Cuando de Chile”, per esempio, scrive «Oh Chile, largo petalo de mar y vino y nieve» (Oh Cile, lungo petalo di mare e vino e neve) – ma fu anche un sudamericano molto metropolitano, come si evince visitandone le dimore, riunite nella Fundación Neruda.

A Santiago lungo i percorsi di Neruda

Nella capitale abitò alla Chascona, sulle alture del Cerro San Cristóbal, dove le abitazioni sfoggiano facciate dai colori vistosi. La sua, eretta a partire dal 1953, è del suo amato blu, e da lì il poeta poteva osservare le Ande dalla stanza da letto e sentire il ruggito dei leoni nel vicino zoo. Neruda applicava un personale feng shui architettonico, ad esempio fece orientare questa dimora verso la Cordillera. Tantissime sono le piante, soprattutto rampicanti. Con Matilde Urrutia, l’amata terza moglie alla quale il nome della casa rimanda (Chascona è un termine che si riferisce a una criniera selvaggia di capelli, Matilde aveva una cascata di ricci rossi), collezionava oggetti portati dalle correnti marine, in particolare galleggianti di vetro. Fu un anticipatore del riuso del legno: cercava e rimodellava mobili usati, sui quali magari posizionava ritratti eseguiti dal pittore e amico Diego Rivera.

Tappa al Mercato de La Vega Central

A Santiago, poi, non bisogna mancare, al mattino presto, l’appuntamento col Mercato de La Vega Central, la colazione al Café Altura, una visita al Museo Nacional de Bellas Artes e de Arte Contemporáneo. Per una pausa, Bocanáriz è l’enoteca in cui bere vini superbi, insieme al Restaurante 040. E a la tarde, di sera, ci si sposta al Barrio Italia pullulante boutique vintage, facendo una mini siesta tra le piante del Café de la Candelaria insieme ai creativi del Centro Gabriela Mistral o tra gli alberi del Parque Metropolitano. E poi, prima di tornare al quartiere bohemien di Bellavista, dove si trova la Chascona, è doveroso andare al Museo de la Memoria y los Derechos Humanos per rinfrescare la coscienza collettiva sulla dittatura di Pinochet: Neruda ne sarebbe fiero.

Passione Valparaiso

Il poeta aveva anche un’autentica venerazione per los ascensores di Valparaíso, città affacciata sul Pacifico. Trascorreva ore e ore a guardare le cabine colorate modulari che ancora oggi la popolazione della città portuale col maggior numero di marinai in circolazione impiega per andare su e giù dai colli. Amava i piroscafi, per lui sinonimo di orizzonti di scoperta e libertà di pensiero: così la sua casa a “Valpo”, la Sebastiana, si erge su un colle che guarda il porto. Al suo interno si ammira la raccolta di mappe e souvenir riuniti dopo tanti viaggi. Tuttavia non c’è dubbio che sarà nella casa di Isla Nigra, sulla costa a El Quisco e 45 km a sud di Valparaiso, che ospita anche le spoglie del poeta, dove il cuore pulserà all’impazzata: le onde scure battono la proprietà di Pablo, cinta da uno steccato in legno sul quale i viaggiatori hanno inciso versi in ogni lingua. Polene, velieri, miniature di barchette in bottiglia, denti di capodoglio sbucano in ogni angolo, testimoniando l’amore assoluto per l’oceano, insieme a maschere, vecchie scarpe, pipe. Qui Neruda trascorse gli ultimi giorni di vita e volle essere sepolto: «Compañeros, enterradme en Isla Negra, / frente al mar que conozco, a cada área rugosa de piedras/ y de olas que mis ojos perdidos/ no volverán a ver…» (Compagni, seppellitemi a Isla Negra/davanti al mare che conosco, a ogni area rugosa di pietre/ e alle onde che i miei occhi perduti/non rivedranno). Fu accontentato. E un ottimo modo per ricordarlo, a 50 anni da allora, è un brindisi alla sua poesia con un bicchiere di carménère tra i vigneti della valle di Colchagua, nella regione di Santa Cruz.

Fonte: Il Sole 24 Ore