La letteratura italiana celebrata al Bookfest di Bucarest

L’eredità invisibile di Italo Calvino era presente anche alla sedicesima edizione del Bookfest, la fiera internazionale del libro di Bucarest che si è appena conclusa e dove l’Italia era il paese ospite d’onore. Oltre alla presenza fra gli altri di Nicola Lagioia, Helena Janeczek, Vichi De Marchi, Piergiorgio Odifreddi, Federica Manzon e Matteo Strukul, non si poteva ignorare la sommessa – ma comunque densa – partecipazione poetica. Per l’editore romeno Eikon, tra le altre, sono state presentate le traduzioni delle raccolte “Hic et nunc. Poesie (1975-1998)” di Fabrizio Dall’Aglio, e “La causa dei giorni” di Cinzia Demi. Entrambi si aggrappano all’endecasillabo come unità ritmica e tonica, tornando a un puntello metrico riconoscibile da qualsiasi lettore, ma attualizzandolo e dunque rendendolo consciamente imperfetto. Se Dall’Aglio osa qualche quartina cadenzata da rime alternate, Demi imposta larga parte della silloge su strofe di cinque versi sature di assonanze e allitterazioni.

Quel segno che manca

È il titolo della penultima sezione de “La causa di giorni” (Interno Libri, 2022), nutrita dalla clausura della pandemia: la parentesi costrittiva spezza il ritmo della versificazione quanto i nessi semantici tra le cinquine di novenari, frutti incolti di un’esperienza quotidiana strozzata, impedita dall’urgenza. “Perché restare e fino a quando / non fare come la rondine che / finito il suo tempo smarrita / si allontana dal fiato di conchiglia / dalla nevicata della vita”, scrive Demi: la paura che ha scatenato il pericolo di un’eventuale estinzione, per dirla con la fauna senziente di Filelfo, ha mutato irreversibilmente l’approccio all’esistenza. I termini “coronavirus” e “covid”, a causa della saturazione mediatica, si sono conficcati negativamente nell’immaginario comune con una violenza lessicale senza precedenti, che ha segnato gli idiomi di due generazioni. Basti pensare alle continue amplificazioni o riduzioni mortifere operate dai canali social, alle quali Aldo Nove ha reagito erigendo “endecasillabi di muri”.

Se al senso di estraniamento il poeta contrappone le proprie radici linguistiche, nei “Sonetti del giorno di quarzo” (Einaudi, 2022) la sua ironia cinica e tranchant stigmatizza il congelamento dell’empatia, l’incapacità legittimata dalla quarantena di immedesimarsi nell’altro, nei “vicini di casa” che non ci sono più. E sottopone il lettore a un sorriso amaro.

Una poetica della specie

L’influenza che la serrata pandemica ha avuto sulle relazioni interpersonali, e di conseguenza sul linguaggio, è stato l’incipit anche del convegno internazionale “Il Novecento letterario in Italia”, organizzato di recente dall’Università di Valencia. Di fronte a un futuro imprevedibile, o comunque più precario del previsto, svariati poeti si sono rivolti al passato, a una tradizione confinata dentro le accademie, ma intangibile e indiscutibile, come Alessandro Agostinelli che è tornato sul sonetto. Nella sua evoluzione letteraria e nonostante le innumerevoli varianti, il componimento costituito da quattordici endecasillabi, divisi in due quartine (fronte) e due terzine (sirma), è rimasto rigoglioso per quasi ottocento anni. Lo argomenta in modo esaustivo Roberto Cescon nel saggio “Di tutti e di nessuno. Una poetica della specie?” (Industria&Letteratura, 2023), quando raffronta le scelte individuali degli autori alla gabbia metrica cui devono sottostare, analizzandone le variabili svincolate, così l’andamento degli accenti interni, gli schemi rimici, la relazione tra versi e sintassi: “Un sonetto di Petrarca presenta una struttura timbrica e accentuale diversa da uno di Foscolo o della Valduga”.

I sonetti italiani

Dalla pubblicazione de “L’Ospite Perfetta”, in cui scomponeva gli stilemi di Angiolieri, Cavalcanti, Petrarca, sino a Leopardi e Gozzano, per inocularci i sintomi di un periodo storico degradato e controverso, ossia il frangente pandemico, i sonetti di Agostinelli negano la visione e la versione ufficiale del mondo, rivalendosi del loro significato ideologico per dare voce a dissensi e dissapori. Il poeta toscano ripercorre e avvalora la trasformazione del componimento che, intorno al quattordicesimo secolo, acquisiva un carattere comico-realistico e parodico, fuoriuscendo dalle corti italiane, in disaccordo con i luoghi comuni del potere. Il recupero di endecasillabi, novenari e settenari, da parte sua procede con “Le vive stagioni” (L’arcolaio, 2023), un prosimetro che ricuce insieme i tre canoni dello stilnovismo dantesco, ossia i concetti di salus, venus, virtus. Agostinelli traccia un percorso ideale dalla contemporaneità indietro nel tempo, rinnovando il presente con le fondamenta musicali del passato – “in questo medioevo / umido e un poco scuro / la linea della bocca / è una maniglia d’oro” – ma senza reliquie di conservatorismo né sacrificando la spontaneità dell’atto creativo.

Fonte: Il Sole 24 Ore