Dio è morto e il grande centauro non sopravvive

La modernità è stata indelebilmente segnata dall’annichilimento del divino. Lo ha preannunciato Friedrich Nietzsche, celebrando ne «La gaia scienza» (1882) la morte di Dio – «Dio è morto! E noi lo abbiamo ucciso!». Lo ha drammatizzato Arthur Machen, evocando ne «Il grande dio Pan» (1894) il celebre necrologio riportato da Plutarco («Il grande Pan è morto!»), ma subito immaginando la possibilità di un risveglio del nume pagano. Friedrich Hölderlin, più etereo, ha liricamente narrato la «fuga degli dèi» – un’immagine che ossessionò lo sciamano della filosofia Martin Heidegger.

Lo scenario è iperrealista

Il lutto per l’eclissi del numinoso compare oggi, in epoca postmoderna, alla Biennale di Venezia, il cui orizzonte d’impronta concettualista non è impermeabile agli assalti del simbolico. Emblematica, sotto questo profilo, è l’installazione “We Walked the Earth”, ideata da Uffe Isolotto per il Padiglione della Danimarca. Lo scenario è iperrealista. L’edificio è trasfigurato dall’immaginazione creatrice dell’artista in una stalla: è la dimora di una coppia di centauri. La femmina sta dando alla luce un figlio, mentre, nella stanza di fronte, il suo compagno si è impiccato. La scena è ambientata in un futuro distopico: materiali bionici lasciano supporre che i centauri siano abitanti di un mondo a venire, forse l’ibridazione teriomorfa che una (trans)umanità ormai incapace di governare le crisi globali ha dovuto percorrere. Ancora una volta, la secolarizzazione occidentale ospita un protagonista dell’Altrove che muore – e non risorge. Per quanto Isolotto, nelle interviste sull’opera, si concentri su una interpretazione socio-politica, è evidente come nell’artista agisca, in forma più o meno consapevole, il richiamo al «disincanto del mondo»: l’arte documenta il trapasso del meraviglioso, l’annichilimento del sacro e delle sue manifestazioni.

Dio è morto, l’uomo lo ha ucciso

Dio è morto, l’uomo lo ha ucciso, e continuerà a perpetrare il crimine, accanendosi sulle creature che popolano l’universo ormai privo della sua reggenza.Qui il sacro è rappresentato dal centauro, simbolo degli istinti vitali e dell’inconscio caotico. Figura ibrida dell’irrazionalità, è esponente par excellence del Postmoderno, eppure risulta anch’essa incapace di sopravvivere alle sue intemperie.Solo nella traiettoria del re-incanto del mondo – che la Biennale di quest’anno, intitolata «Il Latte dei Sogni», parzialmente contempla – il centauro suicida risorgerà come saggio Chirone – o sarà forse il figlio nascituro a realizzare la trasfigurazione? –, e dimesso il cappio funesto tornerà a cantare al cielo, come effigiato da Francesco Saverio Altamura nel suo capolavoro anti-nichilista del 1889, «Chirone centauro canta la liberazione di Prometeo».

Fonte: Il Sole 24 Ore