Equo compenso alla Camera, in settimana il voto al Ddl Meloni

L’equo compenso è arrivato ieri nell’aula della Camera e in settimana dovrebbe essere votato. La proposta di legge, che vede come prima firmataria il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, non era giunto ad approvazione nella scorsa legislatura per un soffio. La norma, composta di 13 articoli, prevede che pubblica amministrazione (con alcune eccezioni), banche, assicurazioni e imprese con più di 50 lavoratori o un fatturato superiore a 10 milioni di euro debbano riconoscere ai professionisti un compenso commisurato alla quantità e complessità del lavoro e conforme ai compensi previsti dalla legge. Le clausole che non rispondono a queste caratteristiche sono considerate nulle.

Secondo l’Unione nazionale delle Camere civili (Uncc) la norma risponde a interessi di carattere generale, perché garantisce sia la qualità della giustizia che la libertà e la dignità degli avvocati. Seppure tutte le professioni siano concordi nel ritenere necessaria una normativa sull’equo compenso, soprattutto quando si hanno di fronte committenti “di peso”, ci sono aspetti su cui non mancano perplessità.

Il sistema sanzionatorio

Tra le criticità rientra il sistema sanzionatorio. L’articolo 5, comma 5 della norma prevede che «gli ordini e i collegi professionali adottano disposizioni deontologiche volte a sanzionare la violazione, da parte del professionista dell’obbligo di convenire o di preventivare un compenso che sia giusto, equo e proporzionato». In merito a questo passaggio è stato evidenziato che in questo modo solo le professioni ordinistiche sono sanzionabili a differenza delle professioni non ordinistiche. Sul tema, ieri il viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto, nel corso di un’intervista ha detto che nel testo si consente agli Ordini di attuare «un’alta sorveglianza dei rapporti fra contraenti forti e professionisti eventualmente non iscritti agli Ordini», permettendo così, tra l’altro, a questi ultimi di «stanare esercizi abusivi della professione».

Un’interpretazione fortemente criticata dalla giunta dell’Associazione dottori commercialisti (Adc) che da una parte evidenzia come una tale attività comporti dei costi, che restano a carico dei soli iscritti agli Ordini, oltre al fatto che non è possibile individuare sotto il cappello di ciascun ordine alcune professioni non ordinistiche e in forza di legge delegare il controllo su di esse, senza che queste abbiano votato il loro controllore e abbiano la facoltà di interagire con esso». Molto duro anche il commento della presidente del Coordinamento libere associazioni professionali (Colap) Emiliana Alessandrucci che parla di «ennesima beffa», e di una proposta che ignora quanto previsto dalla legge 4/2013 e dall’elenco del Mise».

Casse di previdenza

Sul fronte delle professioni, solo ordinistiche, è di ieri la notizia che il decreto che detterà le regole generali per gli investimenti delle Casse di previdenza, previsto dalla legge di Bilancio, è in fase di elaborazione e, secondo il sottosegretario all’Economia, Federico Freni, potrebbe essere pronto a giugno.

Fonte: Il Sole 24 Ore