I leader del digitale (e dell’AI) stanno lasciando indietro gli altri? Ecco come e dove

La creazione di competenze nel campo delle tecnologie digitali porta alla generazione di valore reale e di vantaggi cumulativi in termini di performance: l’assunto è noto ed è ricorrente ad ogni accelerazione del processo di adozione di soluzioni innovative. È successo nel periodo pandemico, sta succedendo oggi con il boom dell’intelligenza artificiale. Sull’argomento si è espresso un nuovo report a firma di McKinsey & Company, intitolato “Rewired and running ahead: Digital and AI leaders are leaving the rest behind”, che ha analizzato le testimonianze di oltre 20mila manager in rappresentanza di circa mille aziende attive a livello globale e in tutti i settori.

Divario sempre più accentuato anche nei risultati

Le rilevazioni degli analisti hanno messo a fuoco diversi aspetti della tematica, e in modo particolare la grande differenza di risultati – la forbice va da due a sei volte – ottenuti nel rendimento totale per gli azionisti dalle aziende che dispongono di competenze all’avanguardia in ambito digitale e sul fronte dell’AI e quelle cosiddette “laggard”, ritardatarie. In altre parole, comparando il grado di maturità delle diverse organizzazioni sulle componenti oggetto di studio e misurandone le capacità di gestione essenziali per catturare il valore, l’esito del confronto è senza storia ed è trasversale ad ogni settore analizzato. E non solo. Il gap fra i leader più innovativi e i ritardatari, come si legge nella nota che introduce lo studio, sta aumentando per due ordini di motivi: da una parte le funzionalità e le competenze specialistiche in cui le aziende hanno investito continuano a migliorare, dall’altra le soluzioni digitali e di intelligenza artificiale, se ben implementate, offrono vantaggi cumulativi. Non deve quindi sorprendere, che lo scarto medio dei punteggi di maturità tecnologica tra i top e i bottom performer è balzato del 60% tra i due periodi osservati da McKinsey, passando dai 10 punti del 2016-19 ai 16 punti del 2020-22.

I settori maggiormente coinvolti

A confermare quella che non va intesa come una tendenza teorica – la creazione di competenze digitali genera un valore reale – bensì una consuetudine consolidata, vi sono le esperienze dirette delle aziende oggetto di indagine. Lo studio ci dice per esempio che i responsabili digital nel settore assicurativo contribuiscono a una crescita quinquennale del Total Shareholder Return sei volte superiore a quella delle aziende attardate nello sviluppo di skill tecnologiche, mentre i leader che operano nel campo dei beni di consumo confezionati e del retail arrivano a triplicare le proprie performance. Meno evidente, invece, il differenziale fra imprese “virtuose” e “laggard” nei comparti dell’energia, dei materiali e dell’agricoltura, dove i risultati raggiunti dalle prime doppiano quelle delle seconde. I benefici maggiori, conferma ancora il rapporto, sono stati registrati nei settori high tech, bancario e assicurativo, in cui i modelli di business sottostanti hanno tratto particolare vantaggio dal ricorso a dati e applicazioni software intelligenti. Il tasso di trasformazione nell’industria dei media e dell’intrattenimento e nella sanità, infine, è stato particolarmente pronunciato, e in parte accelerato dalla necessità di potenziare le funzionalità durante i periodo di lockdown, quando si consumavano in misura superiore contenuti digitali a casa e ci si affidava più frequentemente a servizi digitali in ambito medico.

Il fattore chiave

Il fattore chiave che premia le organizzazioni (e i rispettivi management) più sensibili all’importanza delle skill in ambio tech è riconducibile all’importante distinzione in essere tra la creazione di un canale digitale e la traduzione in valore a partire dall’utilizzo di tale canale. Dal 2018 al 2022, evidenziano in proposito gli esperti di McKinsey, tutte le aziende hanno aumentato l’adozione di app per dispositivi mobili ma sono le aziende leader ad aver mantenuto una posizione di vantaggio (per esempio nelle vendite online), integrando meglio le nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale nel customer journey e riducendo di conseguenza i punti di attrito. E ancora: il gap con i ritardatari è rimasto tale nel computo dei profitti e delle perdite anche in ragione di una maggiore velocità nello sviluppo delle interazioni omnichannel con i clienti, e dell’aver fatto leva sull’automazione dei processi e sui tool di analisi dei dati per ridurre drasticamente il cost-to-serve, a tutto beneficio di una significativa (sovra) performance del rendimento per gli azionisti.

Che cosa fare

La strada da seguire per invertire la tendenza, mettendosi nei panni delle aziende ritardatarie, è impegnativa ma non ovviamente impossibile. Non occorre, spiegano infatti gli esperti, che un’organizzazione sia necessariamente eccezionale in ciascuna dimensione, ma serve che raggiunga un livello di base in tutte. E il motivo è presto spiegato: stiamo parlando di competenze che si rafforzano a vicenda e non è casuale che le lacune maggiori si riscontrino nella creazione di una roadmap strategica per realizzare valore e nella scalabilità dello stesso, piuttosto che nella tecnologia tout court. Avere successo nel digitale e nell’AI, in altre parole, non dipende tanto dagli strumenti tecnologici in quanto tali, quanto dalla capacità dei business leader di allineare l’organizzazione. Cosa devono fare, dunque, i “laggard” per riguadagnare terreno e ottenere risultati migliori? Il primo passo è concentrarsi sulle modalità più efficaci per implementare le innovazioni digitali e di intelligenza artificiale nel proprio business, cercando di costruire le competenze necessarie per catturare il valore in modo rapido, efficiente e costante. I dati, ancora una volta, dimostrano come le aziende dedite a un simile livello di cambiamento possono ottenere significativi incrementi (in media del 15-20%) in termini di maturità digitale e aumentare i margini operativi del 10-20% nei propri settori di riferimento in due o tre anni.

Fonte: Il Sole 24 Ore