Il piacere della guida è fatto di sicurezza e perfezione tecnica

State of the art: lo stato dell’arte, il massimo sviluppo raggiunto. Una definizione che nel mondo dell’automotive assume significati quanto mai ampi ed eterogenei, quanti sono, in fondo, i tipi di vetture. Siamo naturalmente portati a credere che lo stato dell’arte nell’auto sia dato da una formula semplice, basata sulle prestazioni in termini dei soliti dati (e forse ormai desueti nella loro novecentesca natura) di potenza, velocità, accelerazione. Effettivamente, questi parametri, ancora oggi, descrivono molte supercar e hypercar, senza, però, poi indicarne la reale capacità di generare emozioni per chi le guida. Perché qui si crea una scollatura tra ingegneria e sensazioni. Perché il piacere di guida talvolta è qual-cosa che esula da uno zero cento effettuato in un battito di ciglia, ma è una somma di fattori, talvolta non misurabili, che creano benessere a bordo e al volante.

Per fare un esempio, Mazda, casa automobilistica di Hiroshima, impregnata di concetti estetico-funzionali giapponesi, utilizza il termine Jinba Ittai, cioè la fusione tra cavallo e cavaliere come se fossero una cosa sola, per indicare quanto le sue vetture, soprattutto le roadster MX-5, siano progettate in ogni minimo particolare per generare un feeling intimo tra l’uomo e la macchina. Anche questo rappre-senta un determinato stato dell’arte, al di là dei freddi numeri delle prestazioni pure.

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Lexus , brand premium della nipponica Nissan, trova il suo stato dell’arte nelle finiture e nella cura maniacale dei particolari delle sue vetture, mentre la razionalità tedesca del motto Vorsprung durch Technik (all’avanguardia della tecnica) è l’alfa e l’omega di Audi. Per i quattro anelli lo stato dell’arte (e la cosiddetta premiumness, cioè l’attitudine a creare valore e qualità) è definito nella raffinatezza ingegneristica. Altri brand fanno del comfort e della sicurezza il proprio obiettivo di massimo sviluppo.

Ovviamente senza ingegneria e tecnologia sopraffina non esisterebbe lo stato dell’arte delle prestazioni, un caposaldo che è appannaggio di poche, pochissime auto, cioè quelle hypercar che superano il concetto di veicolo e di utilità per entrare in un mondo di eccellenza. Stiamo parlando di magnifici oggetti come la leggendaria Pagani Huayra Roadster BC , emiliana estrema e costosissima (tre milioni di euro, solo 40 unità prodotte e 800 cavalli), progettata da Horacio Pagani come se fosse un’opera scultorea. Per il fondatore dell’atelier, tutto dev’essere unico per creare una macchina come se fosse ricavata da un unico blocco di marmo di Carrara.

Ma lo stato dell’arte in una supercar, anzi in una megacar, non è solo prestazioni eccezionali e potenze enormi, ma anche innovazione e originalità. Valori che ritroviamo sulla svedese Koenigsegg Gemera ibrida plug-in da 1.725 cavalli, il cui powertrain è mirabilmente composto da due motori elettrici sistemati sull’asse posteriore, mentre un terzo è abbinato a un piccolo due litri benzina da 600 cavalli. La potenza totale dei motori elettrici è di 1.115 cavalli, ai quali si aggiungono 600 del termico, il tutto in un’ottica di sostenibilità, visto che questa mega GT Phev (sigla che sta per plug-in hybrid, ibrida ricaricabile) percorre fino a 50 km a zero emissioni in elettrico.

Fonte: Il Sole 24 Ore