Infanzia perduta in salsa greca

La memoria è la madeleine di Marcel Proust, Il campo di nessuno di Daniel Picouly e il mare che «si gonfiava scuro come un sospiro, come un palpito del cuore» di Kosmàs Politis. Lo scrittore greco (Atene 1888-1974) si tuffa nella memoria quando nel 1938 scrive il suo terzo volume, Eroica, tradotto da Crocetti, con la solita, ineguagliata sensibilità per la letteratura ellenica.

«L’idea di Eroica – disse Politis in una intervista del 1947 – è nata in me da un fiore lanciatomi per gioco da una ragazza a Patrasso». E in queste sue pagine ci sono ragazzi e ragazze, una natura incontaminata e potente, tratteggiata con passo omerico, il sogno, i primi amori, e la morte.

Infanzia perduta e natura incontaminata

Non è un romanzo di formazione, ma piuttosto un romanzo sull’infanzia perduta, sugli ultimi bagliori dell’innocenza: «In quegli anni per noi esisteva solo il presente che costruiva la nostra Storia – ora per ora ci lanciavamo nel mare della vita pieni di entusiasmo. Guardavamo solo davanti a noi». Per questi palpiti, Eroica, tradotto nel 1960 nel film Our last spring, è stato il romanzo prediletto della generazione cresciuta dopo il 1940, con vista sulla Seconda guerra mondiale, la guerra civile e le lotte che portarono nel 1967 alla Dittatura dei Colonnelli.

Loìzos, Monica, Alekos hanno tratti da eroi omerici, ma soprattutto da ragazzi che, spensierati e cullati dai loro sogni, saranno travolti dalle tragedie.È il periodo fra il Carnevale e la Quaresima e Politis immagina un gruppo di adolescenti, greci e italiani, in elmetti dorati e con una pompa antincendio, che si divertono in un paese senza nome, in un giardino che pare l’Eden, dove il vento fa sbattere le porte e «dalle stelle pendevano raggi tremanti di luce che ogni tanto scivolavano come gocce spargendosi nell’immensità». Loìzos è Achille, Monica Elena, Andreas è Patroclo e ballano nell’ingenuità della prima età felice, anche grazie a una profonda musicalità che Politis riesce a plasmare tra le righe: «desideravamo la bellezza non come fondamento per la felicità, bensì per raggiungere una pienezza più assoluta, fino all’immensità azzurra e lattiginosa in cui sono sospese le stelle».

Fra poesia e ironia

La traduttrice Gilda Tentorio, nella postfazione, sottolinea come «la linea narrativa, che pare cronologica, si basa su un tempo psicologico, trapuntato di fantasticherie, sogni, desideri, ricordi, con anticipazioni, ellissi, scarti improvvisi». Come la morte che arriva e rompe la magia onirica dell’adolescenza: «una nuvola scura è passata lentamente sui nostri anni d’infanzia – forse questo ne ha segnato la fine». Ma, ancora una volta, quel che pare chiaro, lo è meno di quanto sembra e sempre la traduttrice spiega che questo è «un romanzo importante per l’afflato lirico e le innovative tecniche narrative, in cui la superficie dialoga con la profondità, il simbolo con l’ironia, e l’antitesi diventa misura del mondo». Anche del mondo di oggi: «Un mondo troppo indaffarato in cose futili mescola idee e princìpi con valori falsi eliminando difetti somatici o di altro tipo. Somiglia a un cactus peloso, bubbonico, malaticcio, che troneggia come un dio del focolare radicato sul suo piedistallo. Corpi appassionati si tendono, riducendo indolenti un regno di silenzio e di insensibilità». Non è un cactus malaticcio anche questo nostro tempo…

Fonte: Il Sole 24 Ore