La Brexit fa crollare l’export di cibo italiano nel Regno Unito: -38% a gennaio

LONDRA – Ogni sabato mattina North End Road, zona centrale di Londra ma ormai diventata multi-etnica, costellata di panettieri libanesi e sarti cinesi, si affolla di gente. C’è il mercatino settimanale di frutta e verdura. La particolarità è che tutte le bancarelle funzionano allo stesso modo: si compra a quantità fisse e prezzo fisso. Sopra i banconi ci sono ciotole tutte uguali, ognuna contiene circa 1 kg di frutta o verdura, e ognuna costa 1 sterlina: non importa se siano avocado egiziani, kiwi calabresi o mele del Kent.

L’impatto della Brexit

Dal giorno di Capodanno, però, una tegola è caduta sui clienti del mercatino: massaie, famiglie. E pensionati, che vanno a fare la spesa low cost, hanno trovato ad attenderli un’amara sorpresa: il pezzo di cartone con il prezzo di ogni singolo cestino, rigorosamente scritto a mano, segnava 1,5 sterline. Se 50 pence in fondo sono spiccioli e il costo rimane imbattibile rispetto a qualsiasi supermercato, è comunque un rincaro del 50%. Al mercatino di North End Road di Londra c’è stata la fiammata di inflazione da Brexit più grossa d’Inghilterra. Tutta colpa della Brexit: sopra le bancarelle sono quasi tutti prodotti importati. E dal 1 gennaio l’assortimento e la quantità si sono ridotte. Una buona parte di quella frutta e verdura arriva anche dalI’Italia. Il Belpaese è uno dei principali fornitori alimentari del Regno Unito: dai mercatini ai grandi supermercati da Tesco a Sainsbury’s. Le difficoltà, attese e previste, della Brexit, con i controlli alla frontiera e i rallentamenti, per camion e treni, hanno fatto crollare l’export alimentare italiano: -38,3%. Il rincaro della spesa è la conseguenza della difficoltà delle merci importate ad arrivare nel Regno Unito. Il dato è stato calcolato dalla Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi al commercio estero nel mese di gennaio 2021, il primo dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea.

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Agli inglesi piace mangiare italiano

L’alimentare è il primo settore di export del Made in Italy in Inghilterra, come volumi, anche se in termini di controvalore è prima la meccanica e l’industria. Ma proprio perché è la categoria più numerosa, è anche quella che paga il conto più salato alla Brexit. L’addio del paese alla Ue penalizza anche le esportazioni UK: le importazioni in Italia da Oltremanica sono affondate addirittura del 70%. “Le difficoltà negli scambi commerciali con la Gran Bretagna – lancia l’allarme Coldiretti – mettono in pericolo 3,4 miliardi di esportazioni agroalimentari”. Non sono poca cosa perché il Regno Unito è uno dei principali compratori di cibo italiano: è il quarto partner commerciale dopo Germania, Francia e Stati Uniti. In testa ai gusti degli inglesi c’è il vino, con il prosecco leader indiscusso; al secondo posto tra i prodotti italiani più venduti in Gran Bretagna ci sono le passare di pomodoro e la pasta, a seguire il formaggio, con Grana Padano e Parmigiano Reggiano. L’alimentare è la voce dell’export più perché i problemi alle frontiere si trasformano automaticamente in ritardi, e i ritardi sono il peggior scenario per i prodotti deperibili. La la burocrazia porta anche maggiori costi e più scartoffie per le aziende: un aggravio ulteriore per il Made in Italy. Il flusso di export alimentare italiano è sparpagliato tra migliaia di piccoli produttori, aziende dove il peso degli extra costi è maggiore. Paesi dove l’alimentare si concentra in grandi gruppi hanno strutture interne in grado di gestire l’extra aggravio. Il nanismo dell’economia italiana non aiuta.

Fonte: Il Sole 24 Ore