Le autentiche trappiste: birre e abbazie da conoscere

Nell’attesa, ormai diventata quasi uno stillicidio, di una prossima riapertura delle frontiere e di una ritrovata libertà di viaggiare si inganna il tempo interrogandosi su quale dovrebbe essere la prima meta da mettere in calendario. Proviamo anche noi a fornirvene una: i birrifici trappisti del Belgio. Attenzione, non si tratta di un tour esclusivamente birrario.

I birrifici trappisti dipendono da altrettante abbazie ovvero comunità religiose di monaci appartenenti all’ordine benedettino cistercense di stretta osservanza, nato nell’abbazia francese di La Trappe da cui il nome, e rispettano regole stringenti. La prima è quella che il birrificio debba far parte della proprietà del monastero e trovarsi all’interno del suo perimetro, la seconda che la produzione di birra se non gestita direttamente sia almeno supervisionata da un monaco e la terza che il ricavato della vendita della birra sia destinato alle necessità del monastero o a opere di carità. Solo rispettando queste regole le birre prodotte possono fregiarsi del logo esagonale e della scritta Authentic Trappist Product che ormai è riconosciuto nel mondo come una garanzia di qualità.

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Il motto «Ora et labora»

Nomi come Chimay, Orval, Rochefort, i tre birrifici valloni, e Westmalle, Westvleteren, Achel, i tre delle Fiandre sono da anni meta di “pellegrinaggi” per camminatori e ciclisti che vogliono godere del fascino di un’abbazia come quella di Orval la cui fondazione si fa risalire al 1132 o quella di Westmalle, costruita nel 1794 e primo monastero a riprendere l’antica consuetudine di produrre birra nel 1934. Perché poi quella della birra, così come della produzione di formaggio, era attività in linea con il motto benedettino dell’Ora et Labora, ovvero preghiera e lavoro e lavoro finalizzato in primo luogo all’autosufficienza alimentare dei monaci che, non a caso, definivano la birra come “pane liquido” in quanto unico sostegno ammesso nei frequenti periodi di digiuno.

Extra leggera o forte: i modelli

Le birre dei birrifici trappisti del Belgio, considerati “storici” e a lungo i soli impegnati nell’attività (negli ultimi anni altri monasteri hanno ripreso l’antica pratica, uno anche in Italia nell’Abbazia Tre Fontane di Roma) sono non solo riconosciute per la loro qualità ma spesso anche per il loro ruolo nel panorama birrario mondiale. Orval, per i suoi lieviti e la sua luppolatura, rappresenta una vera e propria icona birraria, la Tripel prodotta a Westmalle, una birra chiara da 9,5% vol, costituisce un parametro di stile al quale molti birrai si sono successivamente ispirati e la notizia, di qualche settimana fa, che la loro Extra, la birra più leggera e a lungo destinata esclusivamente al consumo interno, sia stata immessa al commercio è stata salutata con tripudio dagli estimatori di tutto il mondo. Westvleteren infine ha avuto per anni con la sua birra più forte, semplicemente chiamata con il numero 12, il riconoscimento di birra più buona al mondo da un sito specializzato e il suo complicato processo di vendita, si deve andare sul posto dopo aver prenotato e dichiarato la propria identità per poi poter comprare solo un numero limitato di bottiglie, l’ha resa quasi una leggenda.

Il calo delle vocazioni

Il fascino di queste birre e dei monasteri che le producono inizia già nel percorso di avvicinamento, spesso attraverso campagne e boschi, si affina nel silenzio e nell’atmosfera che si respira nei loro dintorni e si celebra solo in ultima fase nell’assaggio delle birre che si può compiere negli spazi aperti al pubblico che alcuni monasteri, ma non tutti, hanno concesso. Tuttavia il tour dei birrifici trappisti andrebbe inserito tra i primi viaggi da realizzare a pandemia terminata anche per un motivo più urgente.

Fonte: Il Sole 24 Ore