L’intelligenza artificiale invoca talenti e nuovi modelli per la governance

La ricerca dei talenti e la riqualificazione del personale, lo sviluppo di nuove skill e la gestione di nuovi modelli organizzativi: portare l’Ai nel cuore delle aziende è una sfida a tutto tondo che va ben oltre l’aspetto puramente tecnologico. Il convegno “Il lavoro al tempo dell’Intelligenza Artificiale”, organizzato dal Sole 24 Ore e Unioncamere e tenutosi ieri a Milano a Palazzo Giureconsulti (e seguito da circa mille persone), è stato dedicato all’analisi dei cambiamenti a cui le imprese sono chiamate per gestire l’implementazione delle tecnologie degli algoritmi. Il punto di partenza è un dato, di inequivocabile lettura: calo demografico e mancanza di formazione adeguata sprofondano l’Italia al 69esimo posto, su 133 Paesi, per facilità di reperire sul mercato le figure professionali con le competenze richieste. Uno scenario che genera preoccupazione e nel quale va inserito il fattore Ai, che secondo Fabio Tamburini, direttore del Sole 24 Ore, non è assolutamente una moda: «Fra tanti punti di domanda su questa tecnologia, abbiamo una certezza, e cioè il fatto che impatterà significativamente ogni cosa, a cominciare dal nostro modo di lavorare, dagli uffici alle fabbriche». Che l’Ai sia un tema strategico e centrale, e qualcosa di più di un nuovo grande passaggio dell’innovazione digitale, ne è convinto Carlo Sangalli, presidente Camera di Commercio di Milano, Lodi, Monza e Brianza, secondo cui arriva in campo «una tecnologia che apre nuovi scenari alle imprese nel campo dell’analisi dei dati e che necessita, al contempo, di apprendimento e regolamentazione continua». Barbara Caputo, professoressa al Dipartimento di Automatica e Informatica al Politecnico di Torino, ha messo a fuoco in tal senso la capacità di scalare dell’offerta formativa rispetto alla (crescente) domanda di aggiornamento continuo dettata dall’Ai. «Il numero di persone interessate da percorsi di apprendimento e di reskilling – ha spiegato la docente – si sta moltiplicando perché la velocità con la quale questa materia evolve è enorme, e per questo occorre adattarsi».

«Trasformazione digitale e Ai influenzeranno qualsiasi settore e professione – ha osservato a sua volta Fabio Vaccarono, ceo di Multiversity Group (a cui fanno capo le università digitali Pegaso, Mercatorum e San Raffaele Roma) – e richiedono un processo di riconversione che non può che passare attraverso la formazione, da sistemi di inclusione delle competenze e da modelli avanzati di continuous learning». La priorità per superare il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, secondo il manager, è duplice: da una parte coinvolgere milioni di giovani diplomati esclusi dal percorso universitario e dall’altra applicare con convinzione le nuove tecnologie all’education, colmando un ritardo di competenze “drammatico” e sfruttando l’Ai per aumentare la produttività del percorso formativo, ottimizzandone il linguaggio e i contenuti.

Un salto in avanti non da poco, quindi, che richiede sinergie e unità d’intenti fra pubblico e privato e che non può prescindere, a detta di Stefano Scarpetta, director Employment, Labour and Social Affairs all’Ocse, da due capisaldi: la governance dell’Ai e la valorizzazione del capitale umano. «Oggi siamo indietro perché il cambiamento corre veloce, ma è necessario dare a tutti gli strumenti per utilizzare al meglio questa tecnologia alimentando, sviluppando e mantenendo una qualità fondamentale qual è lo spirito critico della persona». Quanto poi l’Ai impatterà sulle dinamiche occupazionali lo si vedrà in seguito: una recente indagine dell’Ocse su un campione di 2mila imprese che l’hanno già adottata dice che non c’è una conseguenza diretta sui livelli di impiego, anzi. In molti casi la tecnologia è considerata un complemento alla professione e un “add on” che migliora la produttività e la qualità del lavoro. Per contro, è indubbio che molte attuali mansioni muteranno e che una discreta fetta di lavori potrà essere sostituita dagli algoritmi generativi. L’intelligenza artificiale generativa, insomma, aiuterà a creare professioni potenziate e a proiettare chi dispone di competenze intermedie verso ruoli di livello superiore, ma non dovrà prescindere dalla sua componente etica.

Fonte: Il Sole 24 Ore