Miraggio Alula, dalla pop art alla desert art

Una mostra di Andy Warhol non è mai consolatoria. In genere lascia una traccia agrodolce, dove la potenza del messaggio artistico si stempera nel pessimismo. Dopo Warhol, piaccia o meno, sul piano inclinato si arriva a Dash Snow e poi al baratro del contemporaneo rimasticato. Ma ad Alula, la perla saudita del deserto, non è successo. Come si spiega?
La cornice prima di tutto. Il Maraya Concert Hall – la struttura a specchi firmata Giò Forma – ha dato alla collezione di Pittsburgh (la città natale, la regina dell’acciaio, la sede del Museo Warhol) un tocco di levità. Così, per sortilegio, il contralto irriverente dell’arte pop è divenuto ad Alula un dolce mezzo soprano che continua a galleggiare nello spirito, come le sue iconiche silver clouds.

Canyon d’arenaria

Per una mostra che si conclude senza idealmente concludersi (Warhol), così come per una struttura che s’installa senza consolidarsi (Maraya), l’epifania d’arte è dunque protratta perché le opere conquistano lo spazio esterno tra i canyon d’arenaria. Sotto il cielo glauco cangiante dell’Arabia Deserta, cioè non più Petrea e non ancora Felix, si disvela allora il museo all’aperto di Desert X Alula. Passaggio di testimone tra spazi chiusi e Land art, Desert X nasce, come sappiamo, in California ma trova oggi una nuova dimensione planetaria sulla via dell’Incenso. L’originaria Biennale del deserto è stata insomma capace di abbracciare, a sei anni dalla prima edizione americana, due continenti: dalla Coachella Valley alla Wadi AlFann (la Valle dell’Arte).Il tema dell’ultima edizione 2022 che passerà il testimone a quella 2024 ruota attorno al concetto di miraggio. Di illusione anche. La parola araba è: sarab.

Quindici artisti

Quindici artisti hanno firmato le installazioni, pudiche quasi, tra le rocce.Alicia Kwade, polacca, firma “In Blur” un gioco di specchi sapiente e borgesiano. Riflessi multipli o perduti rivelano oggetti e li nascondono, giocando anche col corpo dell’osservatore: ora si moltiplica e ora scompare durante il percorso. Un’installazione geometrica ma sfalsata e sottilmente materica, al tempo stesso fredda e calda, perché sintesi di moderna superficie riflettente e millenaria sostanza geologica.Il palestinese Khalil Rabah con “Grounding” crea invece un parco circolare di ulivi, albero non indigeno qui, ma dal simbolismo universale. L’atto di trapiantare alberi, come uomini, richiama la vicenda di radici che possono attecchire ma anche consumarsi nel tentativo d’innesto. La dialettica del radicarsi in un ambiente estraneo diviene quindi rivelata, nuda agli occhi di un osservatore peripatetico in questo Getsemani dell’ecumenismo solidale.Serge Attukwei Clottey, dal Ghana, con “Gold Falls” disegna una cascata d’oro di contraddittoria bellezza, in bilico tra attrazione e repulsione. La plastica, simbolo dello sfregio ecologico patito dall’Africa, è anche il materiale che veicola l’acqua potabile di villaggio in villaggio in tutto il Continente. Le tessere gialle del mosaico sono ricavate dai contenitori d’acqua di uso e riuso quotidiano (in origine sono le confezioni dell’olio da cucina), e divengono anelli di congiunzione concettuale (afrogallonism), dove ogni frammento contiene il suo esatto contrario e riflette tutta la complessità ossimorica delle odierne sfide ambientali.Shadia Alem, saudita, con “I Have Seen Thousands of Stars and One Fell in Alula” ha immaginato il desiderio di una stella di farsi rosa del deserto. La sua scultura ossimorica racchiude, rivelando appunto, l’arte dell’origami. Dominano l’oro e il blu, i colori primari di Alula ai quali il sole impone tuttavia continue riletture cromatiche e di texture che sfociano nella scala di verdi ora metafisici, ora favolistici.

Desert X Alula è un progetto d’avanguardia senza isterie snobistiche, già proiettato all’edizione 2024. La consapevolezza è il suo catalizzatore: infatti da qui deriva la capacità di soddisfare l’esigente cultore di arti visive e il viaggiatore senza sovrastrutture e pose intellettuali. Il deserto, non per nulla, è dominus.

Deset X Alula, a cura di Reem Fadda, Raneem Farsi e Neville Walkfeld – Alula (Arabia Saudita)

Fonte: Il Sole 24 Ore