Non licenziabile il lavoratore tossicodipendente in riabilitazione

Alitalia non può licenziare il dipendente tossicodipendente se accetta di partecipare a un percorso di riabilitazione ed è tenuta ad attendere l’esito della terapia per deliberare sull’idoneità a svolgere la mansione affidata. A chiarirlo è stata la sezione lavoro della Corte di cassazione che, con l’ordinanza 24453/22, depositata l’8 agosto, ha respinto il ricorso della compagnia contro la sentenza della Corte d’appello di Roma relativa al reintegro di un addetto alla rampa, licenziato perché risultato positivo alla marijuana nei test tossicologici.

I fatti di causa

Accogliendo il ricorso della parte lesa contro la risoluzione del rapporto di lavoro avallata dal Tribunale e imponendo ad Alitalia, oltre alla riassunzione dell’operatore, il pagamento di un’indennità risarcitoria (pari a 12 mensilità dell’ultima regolare retribuzione), la Corte d’appello di Roma ha rintracciato, nella dinamica che ha portato al licenziamento, una serie di elementi dissonanti. Prima dell’allontanamento, il lavoratore aveva fatto domanda per essere inserito in un programma di riabilitazione attivato dal sistema sanitario pubblico e, a seguito degli accertamenti effettuati dal medico competente in concomitanza con le cure, era stato dichiarato permanentemente inidoneo allo svolgimento dei compiti previsti dal ruolo per cui era stato assunto. Tuttavia, al momento della rescissione del contratto, la compagnia non aveva tenuto conto dell’obbligo, imposto dalla legge, di attendere la conclusione della terapia prima di procedere con il licenziamento.

Licenziamento prematuro

Un modus operandi in contrasto con la normativa, secondo i giudici di merito. Nell’articolo 124, comma 1, del Dpr 309/1990, si legge che «i lavoratori di cui viene accertato lo stato di tossicodipendenza, i quali intendono accedere a percorsi di terapia presso i servizi delle unità sanitarie locali o di altre strutture specifiche, se assunti a tempo indeterminato, hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro per il tempo in cui la sospensione delle prestazioni lavorative è dovuta all’esecuzione del trattamento e, comunque, per un periodo non superiore ai tre anni». Pertanto, il giudizio definitivo di inabilità alla professione può essere emesso in caso di esito negativo del trattamento o in fase di rientro ma mai prima del termine della procedura riabilitativa, come accaduto nel caso oggetto di esame.

La decisione della Cassazione

La Cassazione ha sostanzialmente confermato quanto deciso dalla Corte d’appello. Contrariamente a quanto sostenuto da Alitalia, non sussiste alcuna violazione dell’articolo 124 da parte dei giudici di merito: la compagnia, infatti, sosteneva che l’accesso al diritto di conservazione del posto di lavoro fosse prerogativa esclusiva dei tossicodipendenti patologici e non dei consumatori abituali di stupefacenti. Differenza, tuttavia, del tutto assente nel testo della norma. Non solo: il licenziamento dell’addetto alla rampa, antecedente alla conclusione del percorso di disintossicazione a cui si era sottoposto in regime di aspettativa non retribuita e che aveva terminato, peraltro, con esito positivo, era da reputarsi illegittimo, in quanto attivato prima della chiusura della terapia.

Allo stesso modo, risulta invalida anche la seconda motivazione dell’impugnazione, relativa a un’erronea applicazione dell’articolo 2119 del Codice civile, in tema di licenziamento per giusta causa in ragione della gravità del fatto: l’assunzione di droghe può incidere sulla fiducia accordata dal capo al dipendente e, automaticamente, sulla valutazione delle prestazioni di quest’ultimo se gli effetti intaccano negativamente la routine lavorativa. Tuttavia, prima di optare per una sanzione espulsiva irreversibile, il datore di lavoro è tenuto a dare all’impiegato la possibilità di sottoporsi al percorso di cura previsto dalla legge ed emettere un verdetto in base al feedback fornito dagli specialisti che lo hanno monitorato.

Fonte: Il Sole 24 Ore