Open innovation, la sfida di competence center e Pmi

Il concetto di innovazione aperta ha origini relativamente “lontane”, ci riporta al 2003 e a teorizzarlo fu il professor Henry Chesbrough, titolare di una cattedra alla Haas School of Business della University of California, a Berkeley, e autore di “Open Innovation: The New Imperative for Creating and Profiting from Technology”. In questo saggio veniva affermato un assunto subito recepito da colossi multinazionali come Procter & Gamble e Ibm e da stelle del firmamento BigTech come Google e che si è rivelato poi fondamentale per favorire il processo di trasformazione di moltissime grandi aziende su scala globale.

L’idea che nessuna organizzazione possa avere le menti più brillanti unicamente al proprio interno e le debba cercare anche fuori dai propri confini è arrivata anche da questa parte dell’oceano e piano piano si è affermata come un nuovo paradigma di gestione distribuita dell’innovazione, capace di adattarsi (a diversi livelli e con diverse velocità) al modello di business di ciascuna impresa. Un approccio collaborativo nella creazione del valore e un impatto significativo sull’accelerazione dello sviluppo di nuove tecnologie: questa, in estrema sintesi, la traduzione concreta del concetto elaborato da Chesbrough, entrato ormai nell’elenco delle priorità anche di molte aziende italiane, con Enel a fare da pioniere di un movimento che coinvolge sia il settore privato (start up ovviamente incluse) sia quello pubblico.

Un valore di quasi 700 milioni

Un vero e proprio ecosistema, insomma, che ha creato una domanda di servizi finalizzati a supportare la realizzazione di questi progetti (nel campo dell’AI, della blockchain e dei Big Data) e che il neonato Osservatorio “Italian Open Innovation Lookout” promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano ha iniziato a mappare, valutando le caratteristiche degli attori coinvolti e i valori economici di tali servizi. Il dato da cui partire è noto: 696 milioni di euro, a tanto ammonta il giro d’affari generato (nella misura dell’85%) da cinque tipologie di service provider (oltre 900 gli operatori oggetto di indagine), ovvero sia corporate innovation hub, società di consulenza, uffici di trasferimento tecnologico, centri di competenza e società professionali per la proprietà intellettuale, alle cui spalle stanno crescendo rapidamente attori come i venture builder e gli start up studio. Una stima conservativa, si legge nella ricerca, in quanto quantifica solo l’attività delle 15 categorie di provider di cui sono disponibili dati (rispetto alle 25 complessive), ma che – come ha spiegato al Sole 24ore uno dei responsabili dell’Osservatorio, Josip Kotlar – «offre comunque segnali molti indicativi di un ecosistema dinamico». Come indica anche uno studio di Sopra Steria da cui risulta che le imprese italiane siano particolarmente propense alla collaborazione con gli ecosistemi dell’open innovation, rilevando una propensione dell’80%, rispetto al 57% della Germania, il 61% del Regno Unito, il 70% delle imprese in Francia.

Coinvolti i compentence center con le risorse Pnrr

C’è poi un ulteriore parametro che, a detta di Kotlar, va letto in modo positivo, ed è il valore degli investimenti di venture capital in Italia, calcolati nell’ordine del miliardo di euro secondo l’ultimo VC Barometer di EY. Una cifra nettamente inferiore a quella esibita da altri paesi europei e che ci dice come le imprese italiane favoriscano fortemente un approccio all’innovazione fondato sulla collaborazione con gli attori dell’ecosistema, piuttosto che sugli investimenti in equity per entrare nell’azionariato delle start up.

Un contributo importante, come osserva Federico Frattini, l’altro responsabile scientifico dell’Osservatorio, lo possono dare invece i fondi del Pnrr, «perché hanno una forte presa sulla capacità delle imprese di affrontare la transizione digitale e di coglierne le opportunità di cambiamento. Non a caso la ricerca evidenzia tra i player cardine dell’ecosistema dell’open innovation italiano gli otto competence center finanziati dal piano di ripresa e resilienza per svolgere attività di orientamento sulle tematiche di Industria 4.0».

Fonte: Il Sole 24 Ore