Patto biennale con il Fisco decisivo per la prossima legge di Bilancio – I 10 nodi da sciogliere

Il software di calcolo del reddito proposto sarà reso disponibile dalle Entrate entro il 15 giugno: servirà per caricare i dati richiesti dal Fisco che – insieme a quelli inseriti nei modelli Isa e agli altri già presenti nei database della Pa – consentiranno l’elaborazione della proposta. L’eventuale adesione potrà poi avvenire entro il 15 ottobre.

Il reddito richiesto

La scelta del Governo di ammettere al concordato anche le imprese con un voto Isa inferiore a 8 (circa il 55% del totale) allarga parecchio la platea degli interessati. Ma pone forti interrogativi sul reddito che sarà richiesto: ad esempio, è ragionevole aspettarsi che chi ha un 3 in pagella si vedrà proposto un reddito maggiore rispetto a chi ha un 7, a parità di tutte le altre variabili; se però l’obiettivo è quello di incoraggiare l’adesione, la richiesta non potrà essere troppo elevata. A maggior ragione in un biennio in cui le stesse stime ufficiali prevedono il Pil intorno all’1% e in cui molti potrebbero temere di guadagnare meno nel 2025.

Per gli oltre 2 milioni di contribuenti forfettari la decisione sarà depurata dalle incertezze legate all’andamento degli affari, perché per loro il concordato – in fase di prima applicazione – varrà solo per un anno. È ovvio che accettare il reddito proposto per il 2024 all’inizio di ottobre significa aderire a un patto “quasi-consuntivo” anziché preventivo. Di contro, sarà più concreto lo spauracchio della decadenza, prevista se il Fisco accerta attività non dichiarate per un importo superiore al 30% dei ricavi del 2024 (periodo oggetto di concordato) o del 2023 (periodo precedente): considerati gli introiti medi dei forfettari, per decadere dal concordato non servono cifre enormi in valore assoluto. Mentre un altro nodo riguarda i cambi di regime: come deve comportarsi chi era nel forfait l’anno scorso, ma è uscito da quest’anno, o ha fatto il percorso inverso?

Tutti coloro che aderiranno al concordato dovranno versare le imposte sul reddito proposto per il 2024 nell’acconto del prossimo 30 novembre, senza poter scegliere il metodo storico (fatta salva l’eventuale riproposizione degli “acconti a rate” per le partite Iva con volume d’affari fino a 170mila euro). La soluzione potrà non piacere a molti contribuenti, ma darà una boccata d’ossigeno – quanto grande, si vedrà – ai flussi di cassa per l’Erario, messi a dura prova dalla compensazione dei vari tax credit ancora in circolazione (superbonus su tutti).

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Fonte: Il Sole 24 Ore